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di Gerardo Pecci

I falsi concetti ideologico-politici di «italiano» e «italianità» hanno condotto alla scelta ambigua, confusa e inutile, di aver creato ex novo un vero e proprio Liceo del Made in Italy preferito, secondo quanto dicono diversi dati statistici relativi alle iscrizioni scolastiche, da non molti studenti in tutto il nostro territorio nazionale. Questa precisa scelta ideologica pesa come un macigno. Storicamente, alle sue spalle vi è il ricordo autarchico e il sogno dell’italianità con tutta la sua triste retorica in età fascista. Secondo le intenzioni dell’attuale governo, questo nuovo indirizzo di studi liceali dovrebbe cercare di mettere in luce il “genio” italiano, incarnato in persone dotate di chissà quali doni ricevuti dalla sorte, forse da qualche divinità o addirittura dagli antichi dei dell’Olimpo. Si tratterebbe, così, di un privilegio che porrebbe il “genio italiano” ai vertici delle scienze e della creatività e delle culture artistiche mondiali, creando novelli Leonardo da Vinci in grado di padroneggiare sia le conoscenze scientifiche che quelle artistiche e creative. Ma davvero esiste il “genio” italiano? Davvero può esistere una scuola in grado di sviluppare conoscenze e competenze scolastiche adatte a futuri creatori di italianità nel mondo?

Come si fa a inculcare negli studenti passione e impulsività, amore per la ricerca e rigorosa razionalità ed eleganza e un innato senso della “bellezza”? Quale modello scolastico è in grado di fare tutto ciò? A mio avviso nessuno. Nessuna scuola possiede i mezzi per farlo! Lo stesso nome di Liceo del Made in Italy è una contraddizione, una vera e propria barzelletta basata sull’idea, tutta industriale e seriale, di prodotti di fabbrica e per giunta propagandata attraverso un’infelice espressione in lingua inglese! Il “fatto in Italia” è diventato “Made in Italy”: una banalissima etichetta commerciale come tante altre, un certificato di provenienza di un prodotto, che sta bene tanto sulle mutande del nonno quanto sull’ombrello da sole o su un rotolo di carta igienica. La verità è che il Liceo del Made in Italy dunque significa il vuoto, il nulla, perché ci sono già altri licei che egregiamente forniscono le basi per la formazione umanistica o scientifica o artistica dei nostri giovani studenti: non c’era bisogno di aggiungerne un altro senza una peculiare identità formativa. Quali conoscenze disciplinari e quali competenze dovrebbero possedere gli studenti una volta conseguito il diploma in “Made in Italy”? Dove eventualmente potrebbero essere collocati nel mondo del lavoro? In quali settori?

Al di là delle domande legittime che possiamo porci sull’identità di questo nuovo corso di studio, quello che fa pensare e che suscita un vero e proprio grido di allarme è il fatto che si vuol dare una patente di italianità. Ciò è pericoloso perché, come ha scritto diversi anni fa Giulio Bollati nella famosa Storia d’Italia Einaudi, nel primo volume dedicato ai caratteri generali, «tendere le reti per catturare il carattere degli italiani può rivelarsi drammaticamente serio se posto al servizio di un’arte di governo, e costituisce in ogni caso una riserva inesauribile di diseducazione morale e di appiattimento intellettuale a disposizione di qualsivoglia tendenza conservatrice o regressiva. È facile dimostrare, l’estrema, evanescente mobilità delle formule che sono state proposte nel tempo per definire il carattere italiano».

Va fortemente ricordato e ribadito che la ricerca esasperata di un’identità propria costituisce un pericolo esistenziale. Infatti, ricordiamoci che «l’identità propria si definisce per differenza e si sostiene sulla svalutazione o la negazione dell’identità dell’altro» (Giulio Bollati). Questo nuovo corso di studi, oltre ad essere pericoloso e falso, è limitante e miope perché qualsiasi corso scolastico serio e corretto non ha limitazioni ideologiche, politiche e culturali e men che meno presunte patenti di paternità nazionalistica.

La verità è che non esiste e non è mai esistita un’astratta «essenza di italianità». Volerla cercare in un’etichetta è, oltre che comico, un atto di tragica forzatura della realtà odierna perché tende a vanificare la corretta comprensione, consapevolezza e percezione della storia che invece è sempre estremamente variegata, complessa, e soprattutto non ha etichette preconfezionate alle quali fare riferimento.

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