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Lo showman livornese e il nuovo lavoro sulla memoria «Non è un racconto di malattia, ma d’amore»


Il cuore di Paolo Ruffini è grande. Più grande addirittura della sua ironia tutta livornese ormai conosciuta a livello nazionale. Lui è lo showman che abbatte le diversità, che indaga sull’abilità oppure la disabilità alla felicità. È il comico e l’attore che, da qualunque palco in giro per l’Italia, racconta che il teatro, il cinema, l’arte, non sanno che farsene della normalità, che la vita stessa non chiede di essere normali, la vita è un inno alla diversità.

Ruffini colpisce ancora con le sue battaglie sociali: questa volta si parla di Alzheimer “Perdutamente”. Questo è, infatti, in titolo del film-documentario diretto dal livornese insieme a Ivana Di Biase che uscirà nelle sale dei cinema il 14, 15 e 16 febbraio. Si tratta di un’uscita evento per San Valentino. Un’altra sua battaglia sociale prodotta da Vera Film e Well See. «Per l’Alzheimer non c’è una guarigione, però c’è una cura, l’amore», è il messaggio che il poliedrico artista livornese vuole dare nel suo film distribuito da Luce Cinecittà. A curare le musiche un’altra livornese, grande musicista, ormai conosciuta in tutta Italia, Claudia Campolongo.

In questo nuovo lavoro Ruffini si mette in viaggio per l’Italia alla ricerca di incontri, esperienze, confronti con persone affette dall’Alzheimer, e con chi se ne prende cura: parenti, amici, affetti. Quello che emerge, sorprendente e irrefrenabile, non è un racconto di malattia, ma è un racconto d’amore. Di un amore come cura, e non di chi è colpito dall’Alzheimer, ma di chi è vicino ai pazienti. «In una stagione in cui ogni giorno e a ogni ora parliamo di ‘contagio’, il documentario ci racconta contagiandoci storie di un’Italia nascosta, colpita da un male, e allo stesso tempo colpita da una reazione straordinaria all’altezza del cuore», si legge nella presentazione del grande lavoro, nel quale c’è un contributo anche di Roberto Cavalli.

Paolo Ruffini torna a toccare un tema di particolare impatto sociale, con un modo profondo e insieme leggero, per coinvolgere un pubblico più ampio possibile. Un modo già sperimentato con grande eco del precedente ‘Up&Down’, uno spettacolo comico con attori con sindrome di down della compagnia inclusiva livornese Mayor Von Frinzius che ha riempito i più prestigiosi teatri d’Italia, da cui è poi nato l’omonimo documentario cinematografico “Up&Down – Un film normale”, che ha ottenuto il premio Kineo alla 75esima Mostra del Cinema di Venezia e una menzione speciale ai Nastri d’Argento 2019. Da questa esperienza ne è nato anche un libro, “ La Sindrome di Up”, edito da Mondadori.

In quest’ultimo lavoro cinematografico Ruffini e Di Biase toccano confini di un mondo complesso: quello dell’Alzheimer, appunto, una malattia neurodegenerativa che colpisce il sistema nervoso centrale, determinando decadimento fisico e cognitivo, perdita della memoria, della coscienza e della percezione del sé e della realtà. Il centro narrativo non è la malattia, ma le emozioni e i sentimenti. Attraverso le interviste si raccontano diverse storie d’amore, e soprattutto diverse dimensioni dell’amore: quello tra compagni di vita, tra genitori e figli, nonni e nipoti, tra fratelli e sorelle. In questo viaggio, tra storie e sentimenti, mentre la memoria della realtà viene progressivamente sgretolata dalla malattia, resta invece la memoria emotiva che rappresenta l’unico legame che i pazienti conservano con la vita che li circonda. “Io non so chi sei, ma so di amarti”.

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