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Lo Stato d’Israele ha una storia particolare, contraddistinta da numerose situazioni storiche. Qual è la capitale dell’Israele? Non è una domanda scontata come potrebbe essere, anzi, non lo è affatto perché ancora oggi, nelle mappe prodotte e distribuite dall’ONU, non c’è il nome della capitale. Nel lontano 1949, Gerusalemme venne proclamata capitale. I problemi, però, iniziarono l’anno successivo: nel 1950, infatti, quasi tutte le istituzioni governative israeliane furono trasferite a Gerusalemme Ovest, mentre alcune rimasero a Tel Aviv. Nel 2006, le ambasciate di El Salvador e Costa Rica, hanno notificato al governo israeliano la decisione di spostare le proprie rappresentanze diplomatiche verso Tel Aviv, così come gli Stati Uniti che però, per il pensiero di Donald Trump, non era e non è la capitale dell’Israele, e infatti rimase fedele in quel di Gerusalemme suscitando tensioni tra tutta la comunità internazionale, in particolare da parte di quei paesi islamici che appoggiano la causa palestinese. Guerre, tensioni politiche, economiche, sociali e soprattutto religiose. Una storia di uno Stato fedele alle proprie origini, anche di fronte alle atrocità del passato alla quale andarono incontro milioni e milioni di ebrei. Stiamo parlando dell’Olocausto, meglio noto con il termine Shoah. Resta e resterà per sempre questo il momento più buio del popolo ebreo, massacrato, perseguitato e torturato brutalmente senza un briciolo di cuore e rancore. Ancora oggi, come giusto che sia, c’è chi medita a quanto successo in passato, soprattutto chi è riuscito a salvarsi in modo miracoloso di fronte a quel genocidio che difficilmente lasciava vivo qualcuno.

Molti anni dopo, nel 1964, il popolo israeliano si avvicinò ancora di più alla Nazionale di calcio per via della Coppa d’Asia che si disputò tra le mura amiche dello Stato. Israele, ovviamente, si qualificò di diritto alla competizione in quanto Nazione organizzatrice della fase finale. Questo aiutò molto la squadra e soprattutto un’ambiente che dopo anni molto difficili poteva sorridere di fronte a un pallone che nel bene e nel male ti strappa sempre un sorriso. Israele vinse il proprio girone classificandosi anche come prima: vittoria all’esordio contro Hong Kong per 1-0 e 2-0 all’India. E’ amplein completo. Le due gare successive divennero determinanti per definire la classifica del girone: il risultato del primo confronto fra Israele e India permise ai padroni di casa di prendere il comando solitario del raggruppamento, mentre vincendo contro Hong Kong la Corea del Sud si portò al terzo posto. La vittoria dell’India nell’ultimo match contro Hong Kong permise alla Corea del Sud di ottenere il terzo posto senza dover disputare il confronto con Israele. La gara di chiusura del torneo vide, quindi, prevalere gli organizzatori della manifestazione che in questo modo si assicurarono la vittoria del loro primo e finora unico titolo continentale. Un 2-1 ai sudcoreani in quel di Ramat Gan di fronte a 35.000 spettatori. La storia è fatta. Israele aveva dimostrato di essere una squadra forte e ben allenata, e in quell’edizione di sicuro non erano loro i favoriti per la vittoria finale nonostante giocassero in casa.


Cinque anni dopo, nel 1969, Israele aveva praticamente rivoluzionato la squadra rispetto alla spedizione vincente del 1964. Via Yosef Mirmovich, dentro Emmanuel Scheffer, tecnico nato in Germania. Ma come, un selezionatore tedesco sulla panchina della nazionale israeliana? Dopo tutto quello che hanno fatto al popolo? A primo impatto sembra un nome totalmente appartenente alla cultura germanica, ma non è così, perché Scheffer è israeliano, è un figlio d’Israele che porta il nome tedesco per via delle sue origini, ma nel suo sangue scorre sangue puramente israeliano, e a dirlo è anche la sua carriera da calciatore e allenatore. Scheffer aveva già assaporato la panchina della nazionale israeliana, visto che dal 1963 al 1967 guidò l’U19 ottenendo discreti risultati. Dopo quella lunga esperienza, andò ad allenare il Maccabi Netanya, esperienza breve che durò poco meno che un anno. Poi arrivò la chiamata della nazionale maggiore israeliana, e lì ovviamente non poteva che non accettare. La Federazione gli chiese di costruire una squadra giovane, solida e competitiva, in grado di poter competere contro qualsiasi nazionale asiatica e, perché no, anche europea. Scheffer mise insieme tutti questi elementi in un tempo ragionevole, ma bisognava scendere in campo per le qualificazioni ai campionati mondiali del 1970 che si sarebbero disputati in Messico. Il tempo di qualche sgambata in amichevole per testare gli ultimi aspetti tattici, e la squadra era pronta. Nelle semifinali valide per le qualificazioni, Israele affrontò la Nuova Zelanda liquidandola nel doppio confronto di Tel Aviv con un punteggio totale di 6-0, 4-0 all’andata e 2-0 al ritorno. Mancava pochissimo per scrivere un’altra pagina di storia. Israele doveva giocare la finalissima contro l’Australia. Furono due partite molto tirate, prive di grandi emozioni e con tanto tatticismo ed organizzazione da entrambe le parti. Il match d’andata di Tel Aviv andò all’Israele, vittoriosa per 1-0, al ritorno, però, fu tutt’altra partita. Viaggio lungo e interminabile fino a Sydney, ma nella testa dell’israeliani c’era la situazione del doppio vantaggio da sfruttare, perché sarebbe bastato anche un pareggio per accedere ai Mondiali. Dunque, oltre alla prova tecnico-tattica, Israele doveva dimostrare anche la tenuta mentale, determinante se si vuol giocare a grandi livelli. Il risultato finale fu 1-1, un punteggio che regalò alla squadra di Scheffer il pass per andare in Messico. Dopo la vittoria della Coppa d’Asia del 1964, Israele centrò anche la qualificazione ai campionati del mondo di calcio. Sono queste le imprese più importanti di tutta la storia del calcio israeliano, un calcio che in quegli anni visse i momenti più belli dal punto di vista dei risultati.

Compiuta questa storica impresa, e ricevuti i doverosi elogi di addetti ai lavori e tifosi, per Israele era giunto il momento di partire per il Messico, dove li attendeva un girone molto complicato e al limite dell’impossibile. Gruppo 2 con Uruguay – fresca di undicesima Copa America vinta -, la Svezia, e l’Italia di Ferruccio Valcareggi che disponeva di una squadra di grande livello comprendendo profili del calibro di Rivera, Boninsegna, Facchetti e Gigi Riva.

L’esordio degli israeliani fu negativo, 2-0 contro l’Uruguay a Puebla. Nella seconda giornata, già decisiva per la qualificazione alla fase successiva, Israele doveva vedersela contro la spaventosa fisicità degli svedesi, decisamente in calando dal punto di vista tecnico rispetto agli anni successivi. Turesson portò in vantaggio gli scandinavi, ma prontamente arrivò il pareggio di Spiegler per l’1-1 finale. Nonostante le speranze di passare il turno sia molto sottili, Israele aveva già compiuto altri passi verso la storia, ossia quello di portare a casa un risultato positivo, e di andare a segno.

C’è da dire, però, che a realizzare l’unico goal fu proprio Spiegler, un centravanti che ha fatto la storia del calcio israeliano e che in carriera può “vantare” anche di aver giocato contro Alex Ferguson che gli ruppe il naso in un match della Scozia contro Israele a Tel Aviv. Anche questa, nel bene e nel male, è storia. Spiegler, tra le altre cose, nel 2003, in occasione dei festeggiamenti per il 50º anniversario della UEFA, fu nominato Golden Player dalla Federcalcio del suo paese come più forte giocatore israeliano degli ultimi 50 anni. Insomma, una vera e propria leggenda ricordata e ammirata ancora oggi.

C’era da giocare l’ultima partita prima di ritornare a casa. Di fronte c’era l’Italia, una grandissima nazionale che in quel Mondiale si arrese solamente in finale contro un Brasile che, francamente, era ai limiti dell’illegalità visti i talenti che proponeva e il calcio che esprimeva. A Toluca fu 0-0. Dominio azzurro come da copione, ma altrettanto dominante fu la prova d’Israele che mise in campo grande organizzazione e una difesa di ferro e piuttosto “cattiva”. L’Italia di Valcareggi si qualificò come prima del girone, mentre gli israeliani vennero eliminati.

La Nazionale di calcio israeliana, dopo le grandi soddisfazioni di quegli anni, non ha mai più centrato simili traguardi nonostante negli ultimi anni siano arrivati talenti come Benayoun in passato, e il tandem Zahavi-Dabour nel presente.

Abbiamo citato passato e futuro, non possiamo non citare il futuro che per molti è rappresentato da Manor Solomon, ala classe 1999 di proprietà dello Shakhtar Donestsk. Velocità e tecnica. E’ sicuramente lui il futuro del calcio israeliano, e molto presto ne sentiremo parlare.

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