Uno stato piuttosto giovane rispetto agli altri paesi del mondo, ma dannatamente evoluto grazie anche alle sue enormi ricchezze. Gli Emirati Arabi si sono costituiti solamente quarant’anni fa, perché prima del 1971 erano conosciuti con i nomi di “Costa dei Pirati” e “Stati della tregua”, quella imposta dagli inglesi nel 1853 ad alcuni sceicchi che non contrastavano, e anzi favorivano, l’attività piratesca. Governati da persiani, portoghesi e inglesi, gli Emirati Arabi restarono fino alla scoperta del petrolio (negli anni Cinquanta e Sessanta) una regione povera e divisa dai conflitti tribali. Dal 1971, anno della loro costituzione, l’economia degli Emirati Arabi hanno mantenuto alti tassi di sviluppo tanto da rappresentare una delle più importanti e dinamiche realtà dell’intera regione. I proventi petroliferi continuano ad essere il fulcro delle entrate governative, ed è l’ottavo produttore al mondo e anche detentore di circa l’8% delle riserve totali. Da circa dieci anni, tuttavia, gli EAU hanno puntato ad una maggiore diversificazione delle entrate. La famosissima e gettonata Abu Dhabi ha promosso forti investimenti nel settore delle energie alternative in un ambizioso piano di sviluppo che, secondo i dati del governo, porterà entro quest’anno ad una produzione di energia alternativa che coprirà il 7% del fabbisogno totale nazionale. Buona parte della manodopera, però, è di origine straniera: i lavoratori immigrati costituiscono l’80% della popolazione totale e il 95% dell’intera forza lavoro. Questi sono spesso provenienti dalle zone centrali dell’Africa e molti di questi, soprattutto nella zona di Dubai, vivono e lavorano in condizioni al limite dello schiavismo. Per via di queso aspetto, gli Emirati Arabi sono uno dei paesi con il maggior numero di uomini al mondo.
Nonostante l’enorme crescita di questo stato, il calcio negli Emirati Arabi trova un’organizzazione ufficiale con molto ritardo: la Federazione viene fondata solamente nel 1971, mentre l’affiliazione alla FIFA giungerà l’anno successivo. Negli Emirati Arabi vogliono creare un movimento, ma le basi sono piuttosto carenti. Ci sono diversi stadi nuovi, innovatavi, molto moderni, creati con architetture sempre all’avanguardia ma, nonostante ciò, c’è poca passione verso questo sport. I giornali sportivi sono pieni di notizie sul calcio, ma buona parte delle persone che li compra sbirciano di più le pagine dove si parla di ippica. E’ un pò come chi va al bar, prende qualcosa da mangiare, e per accompagnare il tutto sfoglia il giornale alla ricerca della notizia che più gli interessa. Per certi aspetti l’esempio è molto simile.
La passione è poca, ma ovviamente il movimento è andato avanti perché il calcio può essere una miniera d’oro sotto tanti punti di vista. Anche se non è una delle nazioni calcistiche leader in Asia , gli Emirati Arabi hanno comunque prodotto alcuni team in essere sia a livello di club e internazionale, così come alcuni singoli giocatori di talento. Nel mese di agosto 2008, il Dhabi United Group Abu ha acquistato in Premier League il Manchester City , instaurando Mansour bin Zayed Al Nahyan come proprietario e Khaldoon Al Mubarak come presidente. Con la ricchezza della famiglia regnante dell’Emirato di Abu Dhabi alle loro spalle, il club è diventato uno tra i più ricchi del mondo, con acquisti faraonici soprattutto nei primi anni di gestione.
Il primo campionato di calcio degli Emirati Arabi si è svolto nel 1973-74, ma vi presero parte solo 3 squadre rendendo il tutto paragonabile a un classico triangolare. Dalle edizioni successive le squadre sono aumentate sempre di più fino ad arrivare anche ad un massimo di 16. Il numero si è poi stabilizzato su un numero di 12 squadre quando la federazione calcistica ha deciso di aumentare il numero a 14 . Inoltre, i vincitori delle edizioni 2008-2009 e 2009-2010 hanno preso parte per la prima volta al Mondiale per Club. Insomma, una crescita graduale.
Anche la Nazionale ha svolto il suo ruolo importante, anzi, per certi versi è stato un ruolo storico e mai più rivisto. Gli sceicchi non badarono a spese per portare nel paese allenatori inglesi, come Don Revie, o brasiliani, come Mario Zagallo e Carlos Alberto Parreira. Il loro obiettivo era quello di giocare un calcio moderno, offensivo e ricco di qualità, ma ovviamente gli ingredienti non erano di primissima qualità. Era una buona nazionale, ma tecnicamente era poca roba. Era un pò come distinguere l’acqua dalla Coca Cola. L’obiettivo che si erano posti insieme a Zagallo era quello di provare a centrare la qualificazione ai Mondiali di Italia ’90.
Nel proprio girone di qualificazione, gli Emirati Arabi rischiarono di non qualificarsi, ma decisiva fu la differenza reti contro il Kuwait, prima a pari merito con 6 punti ma con esattamente la metà dei goal realizzati dalla squadra di Zagallo. Nel secondo ed ultimo turno, si ritrovarono in un raggruppamento a 6 squadre che comprendeva quasi tutte le “big” del calcio asiatico, in primis una Corea del Sud che precedentemente eliminò il Giappone. Passavano le prime due classificate, e gli Emirati Arabi, sempre con quel pizzico di fatica in più, riuscì per 1 punto a mettersi dietro il Qatar e ad accedere per la prima volta nella storia a un campionato mondiale di calcio. La festa ci fu e come, ma in Federazione si crearono tensioni con Zagallo il quale decise di dimettersi. La motivazione non è chiara: il brasiliano sarebbe andato in ferie troppo presto, si sarebbe preso tutti i meriti della qualificazione, avrebbe detto che gli Emirati non avevano chances di approdare agli ottavi di Italia ’90. Le versioni sono varie, ma la Federazione tutt’oggi non si sente di dover dare una spiegazione. Al posto di Zagallo, torna Carlos Alberto Parreira, un brasiliano non brasiliano che pratica un calcio difensivo, adottando la tattica del fuorigioco facendo correre molto i giocatori. Il tecnico guidò già gli Emirati Arabi nella Coppa d’Asia del 1988 senza, però, ottenere grandi risultati.
Il girone è, ovviamente, proibitivo e al limite dell’impossibile. Germania Ovest, Jugoslavia e Colombia. All’esordio, a Bologna contro i colombiani, gli arabi resistono fino a inizio ripresa, poi subiscono i gol di Redin e Valderrama. Quella Colombia, per notizia, era uno squadrone pazzesco, talmente forte che nel 1994 era stato etichettato da Pelè come la favorita alla vittoria finale. Non va meglio la seconda partita, a San Siro contro la Germania Ovest. Alla vigilia, Lothar Matthaus prevede che gli Emirati giocheranno con lo schema 10-0-0. Nonostante il catenaccio finisce 5-1 per i tedeschi, il gol della bandiera lo segna Khalid Ismail Mubarak. Nei media di tutto il mondo circola voce che come premio Mubarak riceverà in regalo dagli sceicchi una Rolls Royce nuova di zecca. Un’ipotesi successivamente smentita dal diretto interessato, ma qualche dubbio c’è ancora.
L’ultima partita è contro la Jugoslavia, avversario ricco di talenti e mai premiato dagli dei del calcio per quanto riguarda la vittoria di qualche titolo. Stanchi delle tattiche difensive di Parreira, i giocatori boicottano il loro allenatore e decidono di giocarsela a viso aperto. Dopo nove minuti gli slavi sono già 2-0, il finale darà 4-1. Gli Emirati Arabi Uniti chiudono il loro primo Mondiale con 3 sconfitte, 11 gol subiti e 2 segnati. L’esperienza italiana rappresenta il punto più alto del movimento calcistico locale, e dal 90’ non si è più qualificato ai Mondiali abituandosi a una forte mediocrità. Dopo quel torneo, come già si vociferava, Parreira venne esonerato.
Sei anni dopo, nel 1996, c’è da fare bene a tutti costi nella Coppa d’Asia organizzata tra le mura amiche. Si preparò al torneo ingaggiando il CT croato Tomislav Ivić nel 1995. Nella fase finale fu inserita in un gruppo con Kuwait, Corea del Sud e Indonesia. Dopo il pari contro i sudcoreani arrivarono due vittorie, contro Kuwait (3-2) e Indonesia (2-0), che garantirono il primo posto nel girone con sette punti in classifica. Ai quarti di finale gli Emirati Arabi ebbero la meglio sull’Iraq solamente al 103′ minuto grazie a Abdulrahman Ibrahim, e successivamente vinsero la semifinale contro il Kuwait, qualificandosi per la prima volta per la finale. Nell’atto conclusivo del torneo si arresero all’Arabia Saudita ai calci di rigore, ottenendo comunque un ottimo secondo posto, miglior risultato di sempre della squadra emiratina nel torneo.
Alla Confederations Cup 1997 furono presenti anche gli Emirati Arabi vice-campioni d’Asia, dato che l’Arabia Saudita, campione d’Asia in carica, era già qualificata per il torneo in quanto paese ospitante. Persero per 2-0 contro l’Uruguay, poi batterono il Sudafrica per 1-0 e furono nuovamente sconfitti con un tennistico 6-1 dalla Repubblica Ceca nell’ultima partita, uscendo così dal torneo.
Dopo quei risultati, gli Emirati Arabi hanno vissuto anni difficili e piuttosto bui, caratterizzati anche da diversi cambi in panchina che ormai ha reso famosa questa Nazionale. Mancarono la qualificazione alla Coppa d’Asia 2000, e terminarono successivamente all’ultimo posto il girone della Coppa del Golfo 2002. Gli anni a venire furono caratterizzati da altri insuccessi. La squadra emiratina fu eliminata al primo turno della Coppa d’Asia nelle edizioni 2004, 2007 e 2011, edizione, quest’ultima, conclusa senza realizzare nessun goal. In questo periodo sulla panchina emiratina sedettero, tra gli altri, Carlos Queiroz (1999), Roy Hodgson (2002-2004) e Dick Advocaat (2005). Nel 2006 fu la volta di Bruno Metsu, che aveva guidato il Senegal ai quarti di finale del campionato del mondo 2002. Il tecnico francese condusse gli Emirati Arabi Uniti alla vittoria della Coppa del Golfo 2007, primo titolo nella storia della nazionale. Restando in ambito allenatori, non poteva mancare la figura di un tecnico italiano. Alberto Zaccheroni, dal 2017 al 2019, portò la squadra fino alle semifinali della Coppa d’Asia, arrendendosi solamente di fronte al Qatar clamorosamente vittorioso per 4-0. Nell’arco di poco tempo, Zac si dimise di sua spontanea volontà confermando, ancora una volta, che negli Emirati Arabi gli allenatori hanno spesso i minuti contati.