Il Canada è uno dei paesi più belli e affascinanti del mondo, soprattutto per via delle sue meravigliose foreste che lo circondano ormai da secoli. Esso possiede una straordinaria possibilità di sviluppo, e da anni compare ai vertici delle graduatorie per ricchezza e qualità della vita, presentandosi all’inizio del 2000 come un Paese pienamente maturo sotto il profilo politico, economico e territoriale. Sul piano territoriale, il progressivo riequilibrio del popolamento e delle infrastrutture sta progressivamente portando il Canada al pieno controllo del suo grande spazio. Tradizionale terra di immigrazione, il Canada ha accolto negli anni centinaia di migliaia di persone provenienti prima dall’Europa – consistenti le ondate migratorie del primo Novecento e degli anni Cinquanta – e più recentemente anche dal resto del mondo. Il Canada è un Paese ricchissimo, autosufficiente e possiede pressoché di ogni genere di materie prime, sia minerarie che agricole, settore quest’ultimo in cui si pone tra i massimi esportatori mondiali. Paese oggi caratterizzato da un’economia di tipo avanzato, il Canada fu caratterizzato da uno sfruttamento massiccio delle sue immense risorse naturali: dalla caccia agli animali da pelliccia, alla pesca e allo sfruttamento forestale, dall’utilizzo intensivo dei suoli per l’agricoltura nelle province atlantiche e nelle Pianure Centrali, all’estrazione mineraria. Insomma, uno Stato molto importante che con il tempo ha saputo mettere in piedi un sistema altrettanto importante.
Nonostante l’importante sistema economico di cui gode questo paese, il Canada non ha una grande tradizione calcistica seppur lì si iniziò a praticare il calcio molto presto. La prima partita giocata con le regole moderne si tenne a Toronto nel 1876, e un anno più tardi fu costituita la prima lega, la Dominion Football Association. All’inizio il calcio era molto popolare e competitivo, tanto che il Galt, una squadra canadese, vinse la medaglia d’oro al torneo calcistico delle olimpiadi di St. Louis nel 1904, ma fu presto oscurato, in termini di popolarità e di numero di praticanti, dal football canadese e dall’hockey su ghiaccio, rendendo di fatto tale gioco appannaggio delle comunità di immigrati. Il primo tentativo di reintrodurre il calcio a livelli professionistici in Canada risale alla fine degli anni sessanta, quando la federazione canadese e quella statunitense tennero a battesimo la North American Soccer League (NASL), che fu attiva fino dal 1968 al 1984. In questo torneo militarono in diversi momenti otto club di cinque città canadesi, in particolare le compagini di Toronto e Vancouver che erano quelle più competitive.
Quando arrivò lo scioglimento della NASL, le squadre canadesi crearono la Canadian Soccer League, il primo esperimento di massimo campionato professionistico esclusivamente canadese. Nel 1992 la CSL si sciolse, alcune squadre confluirono in un campionato dilettantistico, la National Soccer League, mentre altre tornarono a disputare gli stessi campionati delle squadre statunitensi, come la A-League.
Il primo club canadese a tornare nel massimo campionato statunitense, la Major League Soccer, fu il Toronto nel 2007. Successivamente si sono aggiunti Vancouver Whitecaps nel 2011 e Montréal Impact nel 2012. In quel di Toronto e Montréal, come ben noto, hanno militato anche diversi calciatori italiani come Matteo Ferrari, Marco Di Vaio e il cagliaritano Mancosu, fratello di Marco che gioca a Lecce. A Toronto, invece, ha lasciato un segno molto importante Sebastian Giovinco grazie ai 68 goal in 114 presenze.
E’ la dimostrazione che gli italiani in Canada hanno sempre fatto la loro ottima figura. Nel 1993, Eddie Firmani, storico attaccante degli anni ’50-60 che si fece ben apprezzare con le maglie di Sampdoria, Genoa e Inter, ebbe l’opportunità di guidare diverse squadre canadesi, vincendo 3 campionati NASL e 3 Eastern Division.
C’è spazio, però, anche per chi ha avuto l’opportunità di regalare al calcio canadese impianti sportivi efficienti e innovativi. L’azienda italiana Rubner Holzbau, leader delle costruzioni in legno lamellare, in collaborazione con la Bear Stadiums, società di advisor e design, hanno ideato e realizzato in soli 5 mesi il primo stadio del futuro: modulare, in legno lamellare, a basso impatto ambientale, confortevole e totalmente green. Lo stadio ospita circa 5.500 spettatori distribuiti nella Main Stand, dotata di 18 skybox, chioschi e servizi, e nella West Stand, mentre il lato nord ospita un Beer Garden all’aperto per fans e famiglie. È prevista un’ulteriore espansione fino a 2.500 posti aggiuntivi, per una capienza totale di 8.000 posti che dovrebbe iniziare a primavera 2020. Merito del nostro Ing. Raffaele di Domenico, con il suo affascinante progetto ha già suscitato l’interesse di diverse federazioni calcistiche italiane ed estere, che intendono attuare il piano di sostenibilità annunciato dalla FIFA. Scegliere un modello costruttivo in legno lamellare, piuttosto che cemento armato o metallo, equivale a ridurre fortemente le emissioni di gas a effetto serra, il consumo energetico in modo drastico, e consente, grazie alla leggerezza delle strutture, di minimizzare l’impatto paesaggistico.
La National Soccer League nel 1998 cambiò la propria denominazione recuperando quella di Canadian Soccer League, ed ha costituito fino al 2013 il massimo campionato dilettantistico canadese. Il 5 marzo 2013 la federazione canadese ha però ritirato la propria certificazione al Canadian Soccer League, con efficacia dalla stagione 2014. Ciò rientrava nel progetto della federazione di costituire un terzo livello composto esclusivamente dai campionati locali delle diverse province canadesi: fra il 2012 e il 2013 sono, infatti, nate la Première Ligue de Soccer du Québec e la League1 Ontario, campionati semiprofessionistici. E’ tutto? Basta cambiamenti? Assolutamente no, perché il 6 maggio 2017 la federazione ha ufficialmente approvato la nascita di un nuovo campionato professionistico su scala nazionale, la Canadian Premier League, il cui lancio è partito nel 2019 con sette club partecipanti.
Poi c’è la Nazionale, una squadra che lega e unisce da sempre il popolo canadese. Il bello è che quando c’è una loro partita, è come se il Canada si fermasse un momento per celebrare un qualcosa di incredibile. Stadio pieno, tifo incessante, colori, e la bellezza di vedere allo stadio anche persone a cui il calcio non piace e non sa nemmeno com’è fatto un pallone. Negli anni ottanta la Nazionale vive il suo periodo migliore: nel 1985 vince per la prima volta la Gold Cup dove, stando ai pronostici, era una tra le possibili mine vaganti della competizione. Detto e fatto, il Canada stravince il proprio girone mettendosi alle spalle Guatemala e Haiti, poi, nel girone finale, doppio pareggio contro la Costa Rica e doppia vittoria contro l’Honduras, con quest’ultima sconfitta per 2-1 in quel di Saint John’s. Il Canada, anche grazie ai goal di Dale Mitchell e Igor Vrablic, alza al cielo la sua prima Gold Cup della storia gettando, così, le basi per un futuro luminoso che comprendeva anche la partecipazione al campionato del mondo di calcio che l’anno successiva si sarebbe disputato in Messico. All’epoca era così per quanto riguarda quella competizione: chi vinceva si portava a casa il titolo e un doppio pacchetto a base di storia che comprendeva la vittoria del trofeo e la partecipazione al Mondiale. Va inoltre sottolineato che solo due anni prima la Nazionale olimpica aveva partecipato ai Giochi olimpici di Los Angeles dove, grazie a prestazioni di buon livello, riuscì a raggiungere i quarti di finale arrendendosi di fronte a un Brasile che proponeva gente come Zico, Falcão e Sócrates, e che allo stesso tempo schieravano anche giovani promettenti, come Carlos Dunga e Mauro Galvão.
Il sogno di Tony Waiters si realizzò. Voleva a tutti i costi partecipare ai Mondiali giacché, quando giocava come portiere, ci andò vicino ma fu escluso da Alf Ramsey, prima dei Mondiali del 1966. Waiters lavorò duro sulla preparazione fisica e sull’autostima, e anche dal punto di vista tattico la squadra si era trasformata. La maggior parte di quel gruppo aveva giocato nella NASL, e affrontare ogni domenica campioni come Pelè o Cruijff non poteva far altro che invogliargli a migliorare rubando qualche segreto a quelle leggende. Quel Canada era il simbolo della multietnicità. Pasquale De Luca, Tino Lettieri e Bob Lenarduzzi erano italo-canadesi, i genitori di George Pakos erano polacchi, quelli di Terry Moore nord-irlandesi, mentre altri dieci erano nati altrove ed emigrati in Canada: Carl Valentine a Manchester, Gerry Gray, Colin Miller e David Norman a Glasgow, Paul James a Cardiff, Igor Vrablic a Bratislava, Branko Segota a Rijeka, Sven Habermann a Berlino e Randy Samuel a Trindad. Una squadra multietnica che era pronta alla spedizione messicana anche grazie allo splendido lavoro portato avanti da Waiters.
Se vuoi dimostrare di essere una grande nazionale devi confrontarti anche con selezioni superiori a te stesso, e il Canada centrò in pieno questa filosofia. Girone di ferro con Francia, Unione Sovietica e Ungheria. Si giocava a León e a Irapuato. Il gruppo venne dominato dall’URSS e dalla Francia, mentre per il Canada di Waiters fu solamente una grande delusione. Ma d’altronde era prevedibile: era al limite dell’impossibile qualificarsi in questo girone, troppa differenza con le altre squadre. Non a caso, i canadesi, persero tutte e tre le partite incassando cinque goal senza realizzarne nessuno. L’unica nota positiva fu il fatto che, nonostante il divario tecnico, l’organizzazione in campo dei canadesi non era proprio da buttare. Mancava un top player, forse anche due o tre, per poter quantomeno ambire alla realizzazione di qualche goal.
Da quei meravigliosi e indimenticabili anni ’80, il Canada non è mai più riuscito a centrare la qualificazione a un Mondiale, e per tornare a riveder festeggiare i canadesi bisognerà attendere la bellezza di 14 anni, perché nel 2000 il Canada vincerà per la seconda volta nella storia la Gold Cup. Voi direte, ma se ha vinto il torneo perché non ha partecipato di diritto al Mondiale che si sarebbe disputato 2 anni dopo in Corea e Giappone? Semplice, perché ancora una volta il meccanismo venne modificato. Il torneo prevedeva quattro gironi da tre squadre, con le prime due che avrebbero avuto accesso ai quarti di finale. Poi le classiche semifinali e finale. All’epoca, aspetto ancor più innovativo e non da trascurare, vi fu l’invito a partecipare alla Colombia (all’epoca fortissima e favorita assoluta), al Perù e alla Corea del Sud. Il gruppo D fu molto curioso e per certi versi anche storico: Canada e Corea del Sud chiusero il girone con lo stesso numero di punti, gol realizzati e gol subiti; per questo motivo si rese necessario il lancio della moneta, tanto caro a noi italiani per la vittoria dell’Europeo del 1968 contro la Jugoslavia. La dea bendata optò per i canadesi, e ticket per i quarti contro il Messico. Messicani avanti a fine primo tempo, poi pareggio dell’italo-canadese Carlo Corazzin a pochi minuti dalla fine. La gara venne decisa ai tempi supplementari grazie a Richard Hastings, decisivo al 92′. E’ l’ora della semifinale, e c’è molta tensione per il sorteggio: da un lato le sudamericane, dall’altro il complicato ma fattibile Trinidad. Anche qui la fortuna baciò il Canada, perché a Los Angeles la squadra di Holger Osieck dovette vedersela proprio contro l’ultima squadra citata in precedenza: partita spigolosa, difficile e molto dispendiosa, ma con grande sofferenza arrivo l’1-0 grazie al timbro di Mark Watson, decisivo per la finalissima. In quella finale c’era la grande favorita, la corazzata colombiana guidata da Luis Augusto García che l’anno successivo, nel 2001, avrebbe vinto la sua prima Copa America con Francisco Maturana in panchina e Ivan Ramiro Cordoba capitano e leader della difesa con la maglia numero 2, un numero mai banale appartenente al mito di Andrés Escobar ucciso dopo i Mondiali del 1994 a Medellin. Ma questa è tutt’altra storia.
Il Canada non partiva con i favori del pronostico, ma poteva trarre dalla sua il fatto che in quella Colombia non c’era un vero e proprio bomber capace di vincere la partita da solo. C’era Faustino Asprilla, ma non disputò una grande Gold Cup. I canadesi giocano una partita praticamente perfetta: Jason de Vos la sblocca praticamente a fine primo tempo, poi, nella ripresa, Carlo Corazzin chiude i giochi su rigore portandosi a casa anche il titolo di capocannoniere del torneo. Il Canada per la seconda volta nella sua storia vince la Gold Cup. Probabilmente una delle vittorie più inaspettate, ma sicuramente una delle più belle perché quella squadra aveva qualcosa in più rispetto alle altre.
Oggi il Canada, dopo anni di anonimato, sta pian piano provando a ricostruire una squadra in grado di essere competitiva almeno a livello continentale. Le premesse sono ottime, anche perché per il futuro ci sono due prospetti che fanno ben sperare. Stiamo parlando di Alphonso Davies del Bayern Monaco e Jonathan David del Gent. Il primo, classe 2000, è stato prelevato qualche anno fa dai tedeschi dal Vancouver Whitecaps, e dopo qualche anno nelle giovanili, si è subito impossessato della titolarità nella prima squadra, cosa non facile vista la vasta scelta. Ghanese di nascita, Davies ricopre il ruolo di ala, disponendo anche di ottimi mezzi fisici e atletici, oltre che di buona tecnica e velocità. Cerca spesso di giocare uno contro uno vista la sua abilità nel dribbling. Può giocare anche da terzino per via delle sue buone capacità di copertura. Inoltre, ha un ottimo piede sinistro, il che gli consente di calciare o andare sul fondo per fare cross precisi per i compagni. David, anch’egli del 2000 e di origine haitiana, è un’attaccante che all’occorrenza ricopre alla grande anche il ruolo di trequartista o esterno d’attacco. Velocità, forza fisica, tecnica e buon fiuto del goal. Insomma, sotto questo punto di vista il Canada è in buone mani.