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Il Dio comune all’Islam, all’Ebraismo e al Cristianesimo ha una connotazione particolare, dichiara le proprie emozioni, i suoi sentimenti, più forti e più dolci, più severi e più compassionevoli. C’è chi lo percepisce algido, distante, oppressivo, comprensivo, iracondo, altero, prossimo, comunque, sembra un po’ diverso, questo Dio biblico, rispetto a quello precipuamente ed esclusivamente espresso da certa filosofia, forse. Senza tra l’altro addentrarsi nell’irsuto cammino del rinvenire una sua corporeità o meno. Ma se si dà per acquisito l’assioma che nel tragitto umano nei secoli Dio possa aver parlato all’uomo, certamente l’hanno udito Abramo e Maometto, rispettivamente esordio e punto estremo dell’esperienza di Dio. Tra Abramo e Maometto si innesta un contesto assolutamente e rigidamente monoteistico, ma anche di esperienza diretta, a volte contundente, ma mai di alterità. Le Sure del Corano sono centoquattordici, in venticinque è citato Abramo, “La sua sofferta decisione di lasciare fuori le proprie abitudini, le proprie origini etniche, la propria terra e le proprie originarie idee di Dio, partendo verso un’avventura che non ha alcuna meta, se non quella del fidarsi di Dio, dell’affidarsi a lui. Caratterizzata certamente da una rottura forte con il proprio popolo, ormai immerso in una spirale d’idolatria”. L’Islam distingue Abramo come una sorta di primo musulmano, scevro ab initio da principi giudaizzanti e/o cristiani, egli è l’autentico fedele, crede in Dio, è assolutamente, e per antonomasia, muslim, precursore, “Padre dei Credenti”. Ma anche per l’Ebraismo Abramo è il primo, il capostipite, l’uomo della rottura e della fede forte in Jahveh, “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria, e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io t’indicherò” (Gen.12,1-2). Abramo è condotto da Dio verso la terra di Canaan, in una prima e primordiale esperienza pratica di un sentimento assolutamente trascendente quale la fede, il tutto solo sulla base di una promessa di Dio, percepita come relazione verbale, non scritturistica, con il contrastato dramma interiore di una promessa ulteriore di una discendenza, mentre, ad una veneranda età, non aveva prole. Anche nell’Islam vi è un rapporto tra le due dimensioni della fede, quella trascendente e quella immanente, ma è permeato e permeante, veemente ma mai contrastante. l’Islam è un mirabile insieme di religione e comunità temporale, in una straordinaria unione dei rapporti del credente con Dio da un lato, dall’altro del rapporto dei credenti tra loro. Questo assetto comunitario è precipuamente e pregiatamente universale, rimuovendo nelle relazioni interpersonali ogni sorta di disparità etnico-sociale, la umma (“comunità”) indica l’idea di popolo e nazione, insieme accomunati dalla fede. Qualcuno ha scritto: “È impensabile nell’Islam uno scollamento tra sacro e temporale, come quello che ha caratterizzato l’ultimo periodo del mondo cristiano, appunto con il processo di secolarizzazione. Se l’Occidente ha visto emergere modelli di vita orientati al mondo (saeculum) e non a Dio, con un processo storico partito da importanti atteggiamenti di rivendicazione dell’autonomia dell’uomo e della ragione nei confronti del sacro e della religione, ciò non è propriamente accaduto nel mondo islamico. Gli ambiti separati del mondo storico e di quello religioso si fondono nel concetto di “umma”, in una mirabile sintesi tra istanze profonde dell’uomo e risposte socio-politico-religiose”. Fra Dio e Jibril (Gabriele) ci sono due uomini, con le loro recondite aspirazioni, con i loro intenti e le loro inadeguatezze, con i loro scopi e le loro convinzioni, con le loro apprensioni e con le loro fermezze. Forse la Bibbia non presenta Abramo come un vero e proprio profeta, nell’accezione terminologica, il Corano invece lo considera proprio tale, con un ruolo specifico nell’origine e nel cammino del pensiero dottrinale. Con Abramo e Maometto Dio sembra, nella suo autonomo volere e nella sua sconfinata misericordia, voler quasi segnalare all’umanità il motivo e l’origine, l’epilogo e la sommità cui essa è chiamata. Non è solo il monoteismo originario ad essere proposto e custodito, in una missione di continua ricostruzione, ma è l’affermare, nella maniera più autentica ed accertata, che ciascuno non solo probabilmente creato da Dio, ma evidentemente chiamato a lui, oltre che chiamato da lui, ed in questa opera Abramo e Maometto sono autentici modelli e campioni. Nella loro missione è l’umanità ad essere inclusa, oltre che Dio ad essere proposto, mettendo insieme in maniera mirabile gli anelli fondamentali di questa storia sacra che vede un Dio che si manifesta e rivela. Tutte le varie esperienze cicliche di questa storia, richiamano, anche e soprattutto, l’opera di questi grandi, semplici uomini, entrambi hanno avuto la capacità di accogliere e di diffondere l’accoglienza, e Abramo nel Corano è considerato un credente quasi esemplare proprio perché ha vissuto in maniera piena la birr, cioè la “vera pietà”. Uno dei tratti più importanti dell’impianto etico dell’Islam è proprio quello dell’accogliente ospitalità, che è peculiare virtù del buon musulmano. Nella cultura araba islamica, l’ospite accolto è innanzitutto qualcuno che devia dal proprio cammino; la richiesta di ospitalità che ne consegue, inevitabile come le leggi di natura, comporta un diritto di protezione. Inoltre, “ospite accolto” è colui che, aggiungendosi provvisoriamente alla famiglia – cioè alla tavola – di chi gli dona ospitalità, contribuisce a determinare costui; lo definisce, per l’appunto, nella sua capacità di accogliere e di essere caritatevole, e, in questo modo, lo specifica in quanto buon musulmano, partecipe o meno della “vera pietà” (cfr. www.cattedra-accoglienza.it). La nostra speranza, se vogliamo, è che possiamo camminare indossando i nostri semplici calzari, mendicando pace e accoglienza e, perché no, seguendo le impronte lasciate da Abramo e Maometto. Magari.

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