Don Roberto Piemonte è sacerdote dell’Arcidiocesi di Salerno Campagna Acerno. Svolge attualmente il suo ministero come Vicario Episcopale per la Pastorale, è parroco della parrocchia di “Gesù Risorto”, in Salerno. Docente di Filosofia della Religione presso l’Istituto di Scienze Religiose di Salerno, della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, ha conseguito la laurea in Lettere Moderne e la laurea magistrale in Filosofia presso l’Università degli Studi di Salerno. Ha già pubblicato i libri Di fronte ai miei fratelli, “Gregorio Magno e la sofferenza del giusto” e, ultimo, Il Profeta e la Sentinella, tutti per i tipi della BookSprint, nonché articoli di filosofia su varie riviste e miscellanee. In esclusiva per Resportage ha rilasciato quest’intervista, sui temi di fondo dei cammini umani e dell’uomo che s’interroga. A lui va un fervido ringraziamento.
L’amore del Padre, in cui si può scorgere il volto autentico di Dio, come ribadisce S. Giovanni nella sua Prima Lettera, non è sotto condizione. Quali sono oggi, secondo lei, i pericoli di un vero e proprio condizionamento, o quanto meno delimitazione, della figura di Dio e del suo amore per gli uomini?
Nei Vangeli il pericolo che maggiormente viene rimarcato da Gesù è la falsa idea di Dio; anzi, direi che proprio il fatto che Dio sia “un’idea” complica le cose e può impedire un reale atteggiamento di fede. Per questo motivo è molto più rassicurante e “alla portata di mano” un rapporto con Dio legato a comportamenti o a regole specifiche, piuttosto che riconoscerlo come un amore incondizionato e gratuito. L’amore spaventa perché ci chiede di uscire dalle nostre comodità e dai nostri pregiudizi per farci incontrare il volto di un Altro.Inoltre, la pressione sociale e culturale può influenzare la nostra percezione di Dio. In un mondo che spesso promuove l’individualismo e il successo personale, può essere facile vedere Dio come un’entità che premia solo chi si conforma a determinati standard. Questo può portare a una visione limitata e distorta dell’amore divino, facendoci sentire inadeguati o lontani da Lui.È importante, quindi, tornare alle radici della nostra spiritualità e alla scrittura, come la Prima Lettera di Giovanni, per riscoprire un amore che è sempre presente e accogliente, senza condizioni.
“La questione della legittimità del potere viene superata dalle condizioni strumentali del suo esercizio più accorto e spregiudicato, secondo utilità ed efficacia”, affermava un grande pensatore del ‘600. Che riposta può dare oggi la fede ai percorsi esistenziali, sociali e politici dell’uomo?
Se la fede è un’esperienza che ha la pretesa di rinnovare l’uomo nella sua integralità non può fare a meno di trasformare e incidere sui rapporti sociali dato che l’uomo, per natura, è chiamato alla relazione con il creato e gli altri individui. Proprio il fatto che l’atto di fede richiede uno sguardo ulteriore rispetto a come si presenta il reale e richiede la capacità di “uscire da se stessi” può essere considerato una componente essenziale per costruire il vero volto dell’uomo e della società alla misura dell’amore. Il comandamento dell’amore ha evidenti implicazioni esistenziali e sociali: esistenziali perché ci aiuta a incontrare gli altri e a diventare dono reciproco; sociali perché valori come la solidarietà, la pace, il dialogo e la centralità della dignità umana possono trovare in esso un valido e costante fondamento.
Come può manifestarsi il pericolo che la spiritualità di ciascuno possa essere relegata solo ad un benessere individuale, soprattutto a causa dei multipolarismi geopolitici?
La progressiva secolarizzazione della fede porta attualmente ad una sostituzione. Pensiamo ai valori esistenziali, morali e spirituali che per secoli sono stati il frutto del cristianesimo soprattutto in Occidente. Oggi assistiamo a nuovi alfabeti – anche di matrice spirituale che in estrema sintesi sostituiscono il tema della salvezza con il benessere. La salvezza presuppone la presa di coscienza dell’umana fragilità e la disponibilità a lasciarci guardare e avvolgere dall’amore di Dio; il benessere è “più alla portata”, risponde a standard di crescita individuale e agonistica che sono il frutto di una società che ha ormai abbandonato l’orizzonte della trascendenza. Alla base c’è un profondo cambiamento antropologico che chiede alla comunità ecclesiale la necessità dell’ascolto, dell’interpretazione (anche facendo a meno delle categorie tradizionali su cui in passato si è realizzata la proposta cristiana) e del discernimento senza condanne e pregiudizi.
Nel suo ultimo libro, Il Profeta e la sentinella, lei parla di nuovi stimoli e sentieri di speranza. Anche alla luce dei cammini sinodali e del Giubileo, qual è il primo passo che ciascuno, credente o no, deve compiere per intraprendere questi sentieri e ritrovare questi stimoli?
Il messaggio di Gregorio Magno è legato alla centralità della carità: essa è una virtù non posta tra le altre, ma rappresenta il cardine, lo sfondo e l’orizzonte di tutta l’esperienza cristiana da quella esegetica a quella spirituale e sociale. Gregorio vive in un periodo di grandi crisi e la sua opera intellettuale e politica si situa dentro uno snodo dove c’è da una parte le reliquie del glorioso impero romano e dall’altra l’albeggiare di un mondo che sta per essere partorito tra gemiti e contrazioni. Il passo che compie Gregorio è quello di abitare il suo tempo e di lasciare che esso lo interroghi e lo spinga ad una profonda conversione, ad un ritorno a Dio attraverso l’ascolto della Parola e la carità operosa. In questi due aspetti io vedrei le carreggiate su cui anche l’uomo moderno potrebbe incamminarsi per ritrovare se stesso in un’ottica di speranza.
Da filosofo e teologo, oltre che sacerdote, quale proposta porgerebbe ai giovani per il primo passo verso cammini che potessero avviarli ad una serena e autentica realizzazione?
Dobbiamo aiutare i giovani a porsi domande, a ritrovare il gusto della vita attraverso la ricerca del senso. Tutto questo potrebbe avvenire nella misura in cui sappiamo metterci al loro fianco, in posizione di ascolto e non di “chi ne sa più di loro”.