di Gerardo Pecci
La fotografia è ancora in grado di descrivere e/o vedere la realtà che le ruota intorno e che cambia a “vista d’occhio”, a “colpo d’occhio”? La fotografia può quindi mandare in corto circuito la stessa visione fotografica? Diversi fotografi, oggi, seguono le mode del momento, le richieste di un mercato in continua espansione, legato a momenti che cambiano da un giorno all’altro. Il rischio è la banalità di ciò che sembra essere carino e ovvio, di rappresentare fotograficamente se stessi più di quello che ci sta intorno. In tal modo davanti all’obiettivo della macchina fotografica finisce per ritrovarsi lo stesso fotografo che da artista finisce, stupidamente, con l’essere soggetto e oggetto della propria fotografia. È fin troppo ovvio che la fotografia non è, né dev’essere, la messa in posa di sé, facendo così diventare l’immagine un autoritratto banalizzato ed errato, falso e privo di senso. Spesso ci accorgiamo che ritratti ‘carini’ di paesaggi e autoritratti (selfie) ne abbiamo tanti che parlare in questi casi di fotografia in modo serio, e corretto, non ha alcun senso perché tali immagini fotografiche non sono in grado di veicolare messaggi significativi e culturalmente validi.
Qual è il senso della fotografia, oggi? Quello storico di sempre: mostrare, ma non mostrarsi, cioè di evidenziare e scoprire e mostrare i volti delle molteplici realtà odierne. Non c’è bisogno dei festival delle stupidità, ma bisogna essere testimoni del proprio tempo, mai di se stessi. La fotografia è comunicazione, veicola messaggi, pensieri. Costringe a pensare, costringe l’occhio del fotografo a interrogare il mondo per cercare di ottenere una risposta, sia pur parziale, ma una risposta dev’esserci! I fotografi devono essere seri e onesti testimoni del proprio tempo. L’occhio del fotografo cattura, indaga, scopre, denuncia…vede. È la fotografia come scelta per riflettere e per far riflettere e pensare e poi ancora di nuovo pensare per far pensare. Altrimenti l’occhio del fotografo diverrebbe soltanto un occhio che guarda fugacemente, di sfuggita, ma non sarebbe assolutamente in grado di vedere, di scegliere, di valutare, di proporre e anche denunciare.
Il mondo dei social network è un mondo malato perché tutti, oggi, attraverso gli smartphone, credono di essere diventati di colpo artisti e fotografi. Tutti scattano fotografie e tutti pensano che siano carine, belle. Ma il mondo dei social non può aiutare «a creare una profondità di pensiero dietro le immagini, spingendo spesso gli artisti a creare opere gradevoli, immediate ed esteticamente ammiccanti, facili da vendere, ma probabilmente destinate a non lasciare un segno nella storia». Questa constatazione di Rica Cerbarano e di Chiara Massimelo mette ben in rilievo cosa è diventata l’illusione della fotografia nelle mani di gente che crea e usa le immagini fotografiche senza conoscerne la grammatica visiva, il codice visivo e la messa in codice fotografica. E purtroppo bisogna constatare che tra queste persone vi sono anche coloro che si autodefiniscono “professionisti della fotografia”, ma con una forte miopia ottica!
Non dobbiamo mai dimenticare che le fotografie possono mentire. Oggi con l’uso di programmi come Photoshop o con la stessa Intelligenza Artificiale si possono fotograficamente costruire realtà immaginarie con le quali si può deformare il senso corretto di ciò che è la verità visiva. La fotografia può trasformarsi dunque in un’arma molto sofisticata, pericolosissima. E chi invece usa la fotografia in senso politico democratico, per denunciare i mali e le malefatte della politica, spesso finisce per pagare in prima persona a causa delle proprie scelte fotografiche. È il caso del fotografo del Bangladesh Shaidul Alam che fu arrestato nel proprio paese a causa della propria attività giornalistica di fotoreporter. Il mondo occidentale ha poi visto in lui un simbolo della libertà di stampa, eppure in Germania, nella democratica Repubblica Federale Tedesca, Shaidul Alam è stato vergognosamente rimosso dal ruolo di curatore della Triennale di Fotografia di Mannheim perché ha osato dichiarare pubblicamente e denunciare la vergognosissima azione sistematica del massacro in corso a Gaza da parte dello stato di Israele, con ben oltre trentamila morti civili. Dunque: rimosso il curatore e cancellata la Triennale di Fotografia! La democratica Repubblica Tedesca ha censurato la libertà di opinione di un fotogiornalista per difendere «un democraticissimo Stato autore delle azioni che sono sotto gli occhi del mondo», come fortemente ha sottolineato Walter Guadagnini.
Siamo così giunti al cortocircuito della delirante cancel culture dove chi cerca di difendere la libertà di stampa e di opinione finisce, ancora una volta, per diventare un vero e proprio “martire” e molti giornalisti e fotoreporter sono tali in questi mesi di guerre deliranti in un mondo impazzito.