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“Io nacqui veneziano ai 18 ottobre del 1775, giorno dell’evangelista san Luca; e morrò per la grazia di Dio italiano quando lo vorrà quella Provvidenza che governa misteriosamente il mondo.

Ecco la morale della mia vita. E siccome questa morale non fui io mai tempi che l’hanno fatta, così mi venne in mente che descrivere ingenuamente quest’azione dei tempi sopra la vita d’un uomo potesse recare qualche utilità a coloro, che da altri tempi sono destinati a sentire le conseguenze meno imperfette di questi primi influssi attuati”.

Questo è l’incipit dell’opera “Confessioni di un italiano” di Ippolito Nievo che ne racchiude, sulla base di una struttura narrativa circolare, il senso ultimo.

Scritta con grande tempestività, tra il dicembre del 1857 e l’agosto del 1858, l’opera “vibra un’ansia tutta pratica di partecipazione alle vicende culturali e politiche contemporanee”.

Nelle Confessioni, il protagonista e autore Carlo Altoviti racconta il formarsi dell’anima italiana, intesa come un lungo cammino da sondare e non una immediatezza data e acriticamente accettata.

Lo spirito italiano è costato all’Altoviti sacrificio e dolore. Ha vissuto in prima persona gli avvenimenti e i fallimenti pre-unitari e ora, giunto quasi al termine della sua vita dichiara di voler affidare ai più giovani una testimonianza. Una strada capace di allontanarli dagli “adescamenti dei falsi amici, dalle frode dei vili e dalle soperchierie dei potenti”.

Si pensi alle delusioni derivate dal Trattato di Campoformio, alla sconfitta del 1848-49, alla delusione per le speranze affidate a Napoleone: raggiratore di interi Stati, governi ed eserciti.

“Tutta Italia si insudiciava i ginocchi dietro le orme trionfali di Bonaparte ed egli ingannava questi sbeffeggiava quelli con alleanze con lusinghe con mezzi termini”.

Carlo Altoviti l’antieroe e l’uomo mediocre si rivolge alla nuova classe nascente: la borghesia. Spetta ai “nuovi italiani” educare figli e nipoti alla coscienza dell’essere parte di una stessa anima: quella italiana.

“Si armi di costanza e di rassegnazione il piloto per trovare un porto in quel pelago vorticoso e sconvolto”.

L’essere italiani è stato vissuto con grande dolore e speranza da tanti uomini e donne, che allontanandosi da identificazioni che oggi potremmo definire regionali e straniere, hanno combattuto e mantenuto alta la Fede in quel grande processo che ha portato il 17 marzo del 1861 all’Unità definitiva dell’intera Penisola.

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