Ho il piacere di intervistare Raffaella Iannece Bonora classe 1990 nata ad Eboli in provincia di Salerno. E’ una giornalista pubblicista, laureata in Scienze del Patrimonio Culturale, appassionata di arte, cinema, letteratura, disegno, musica e teatro. Attualmente ha all’attivo collaborazioni con diversi giornali e blog. Cura l’ufficio Stampa della casa editrice Blitos, recensisce libri e si occupa dei suoi profili instagram: @arteallaspina e @raffaella_iannecebonora_author. Ha pubblicato tre libri, “La tavola degli otto”,”io mi battezzo … Rebecca” e il volume illustrato per bambini “Verde Menta”.
Raffaella, come è nata la tua passione per la scrittura?
Sono sempre stata una appassionata lettrice, sin dalla più tenera età. Avevo 5 anni quando cominciai a leggere, spinta dalla curiosità di sapere di cosa parlassero i volumi che avevamo in casa. Il libro che mi ispirò nella scrittura, fu, da bambina, “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”. Un tenero e appassionante racconto di amicizia. Da adolescente, durante il mio periodo Horror, l’intrigrante “Intervista col Vampiro” di Anna Rice. Successivamente qualcosa mi scattò dentro e iniziai a pensare che forse, umilmente, anche io potevo fermare qualche emozione su carta.
Cosa o chi ti ha spinto a realizzare il tuo primo libro?
Prima di scrivere “La Tavola degli Otto”, la mia prima pubblicazione, ne ho scritte di storie. Però non riuscivo a portarne nessuna al termine, rimanevano tutte orfane del finale. Un giorno feci un sogno, il mattino dopo lo appuntai. Così nacque il primo racconto. In principio doveva essere lo scheletro per un romanzo, poi le idee iniziarono a spuntare come funghi. Optai per una raccolta di racconti, sperimentando generi diversi per me e per i lettori. Ad opera conclusa, però, esattamente come le altre, “La tavola degli otto” finì in un cassetto. Grazie al mio professore del liceo Mariano Vitale, uno dei migliori docenti che io abbia mai avuto, e alla sua splendida famiglia, cominciai a credere nella mia opera. Per puro caso ebbi la fortuna di incontrarli, proprio durante la genesi del mio libro. Oltre a loro, un’altra persona mi supportò in quel periodo: Palma Caramia. Palma, celebre per il suo blog “un tè con la Palma” l’ho conosciuta qualche anno fa quando ebbi l’onore di recensire libri per la sua rubrica. In quel periodo i suoi consigli furono preziosissimi. Se non fosse stato per questa fenomenale squadra di amici, forse non avrei mai pubblicato nulla.
Ogni artista ha una musa ispiratrice. La tua, è una compagna di viaggio onnipresente o talvolta ti abbandona?
La mia musa è altalenante, le idee non mancano, ma come ogni arte che si rispetti, anche la scrittura va a momenti. Ci sono periodi in cui scrivo tanto, altri durante i quali prendo solo appunti e altri ancora dedicati al riposo. La musa, però, va anche aiutata. Una testa affollata dal ronzio dei problemi non è terreno fertile per la scrittura, almeno non per me. Così, quando posso, ascolto musica, stacco un po’ la spina, vado al mare per cercare di svuotare la mente.
Consiglieresti questo mestiere alle generazioni future?
Non credo che “scrivere” possa essere definito un mestiere, piuttosto è un’arte. Come lavoro non lo consiglierei perché purtroppo non lo è. Vivere di scrittura oggi è un miraggio, una chimera. Più che consigliare ai giovani di scrivere, io consiglio loro di leggere. Troppe volte ho sentito dire “vorrei scrivere” o ancor peggio “ho scritto un libro” seguito da un “non mi piace leggere”; per me è un ossimoro. Se scrivi e non leggi allora vuol dire che scrivi male. Non lo dico io ma tutti i grandi scrittori. Il mio consiglio è di leggere tanto, anche se non si vuol scrivere, bisogna leggere, qualsiasi cosa, dalle fiabe ai grandi classici, non fa differenza. D’altronde la parola libro deriva dal termine latino Liber, esattamente come il vocabolo Libertà: la cultura rende liberi (e non è una frase fatta).
Raffaella è presente nei tuoi scritti? Se così fosse, ricopre dei ruoli in particolare?
Ci sono e non ci sono, sono un po’ l’architetto dei miei romanzi, tutto è stato deciso da me ma come poi gli abitanti si comporteranno all’interno di quel disegno, dipenderà da loro. Certo, ci sono personaggi che mi somigliano un po’ di più rispetto agli altri. Ma spesso fanno di testa loro, stupendo me per prima.
In un mondo così digitalizzato, ritieni che il fascino del libro cartaceo possa solcare le onde tempestose del mare tecnologico o soccomberà al potere della globalizzazione?
Il libro non è mai passato di moda, è stato sempre capace di cambiare forma per essere al passo coi tempi. Riflettendoci, cos’erano le prime pitture rupestri se non libri primitivi? L’uomo ha sempre sentito il bisogno di raccontare, dipingendo e incidendo storie sulle pareti dei templi e poi scrivendole sui papiri e sulle pergamene, fino alla carta, dagli amanuensi ai caratteri mobili. Oggi il libro ha fatto un ulteriore salto: l’ebook. Un affarino poco più grande della nostra mano e spesso quanto una matita nel quale possiamo stipare migliaia di volumi e portarceli dietro, ovunque andiamo. Ma nonostante ciò, molte persone, come la sottoscritta, preferiscono il cartaceo. Non temo che il cartaceo possa scomparire, anche se mi auguro che inizino a produrre tutti i libri con carta riciclata. Ma anche se un giorno dovesse sparire, a vantaggio del pratico ebook, non sarebbe una tragedia; come il passaggio dalla pergamena alla carta, è la naturale evoluzione. Ciò che mi spaventa è invece la perdita dell’amore per i libri, la perdita dell’amore per la cultura, ho paura che i ragazzi di oggi associno alla parola libro la parola noia, che non vedano in esso un nuovo mondo da scoprire, ma soltanto un vecchio oggetto polveroso. Se grazie agli ebook, invece, si riusciranno a convertire le nuove generazioni alla lettura, allora ben venga la tecnologia!
Marzia De Nardo