Intervista a Don Alfonso Raimo, fondatore e presidente della Scuola di Dialogo Interreligioso e Interculturale di Eboli: il valore e la dignità del dialogo, prospettive, timori, speranze.

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Già segretario nazionale della Pontificia Unione Missionaria e dell’Opera di S.Pietro Apostolo, membro del direttivo della Fondazione Missio, Don Alfonso Raimo, Vicario Generale dell’Arcidiocesi di Salerno-Campagna-Acerno, ha rilasciato un’intervista in esclusiva per Resportage, su temi quanto mai impellenti e indispensabili. A lui va il più fervido ringraziamento.  

Don Alfonso, lo statuto della Scuola da lei fondata ad un certo punto afferma che il dialogo è “unica via da percorrere insieme, perché si edifichi una società fondata sull’accoglienza e sul rispetto religioso e culturale”. Quali componenti possono, oggi più che mai, intralciare questa via prioritaria?

 Nel redigere lo statuto della Scuola si è fatto ampio ricorso a tutto il percorso compiuto in questi anni a partire dalla intuizione di Giovanni Paolo II, il quale volle riunire i rappresentanti di tutte le fedi religiose ad Assisi. In quella occasione si aprì una breccia nel muro impenetrabile della diffidenza e della paura che nei secoli precedenti aveva prodotto laceranti ferite nel tessuto umano. La gioia di trovarsi a condividere valori comuni suscitò il desiderio di percorrere insieme i sentieri della storia nella quale tutte le religioni possono offrire un contributo nella conquista della pace. Il dialogo allora apparve non solo come auspicabile possibilità ma come obbligo comune e unica via percorribile per arrivare alla edificazione di una pace che non è assenza di guerra ma armonia di differenze. È evidente che il dialogo viene costantemente minacciato da una visione prettamente individualistica della persona e da un ritorno al privato nel quale non c’è aggancio tra la storia personale e quella universale. La tentazione di camminare da soli resta un ostacolo al dialogo perché la ricerca del bene personale prevale su quella del bene comune. In questo caso l’altro, inteso in senso personale o comunitario, diventa il concorrente da vincere, il nemico da sconfiggere, il pericolo da allontanare.

Secondo lei, il percorso della cultura e della religione, finalizzato sempre all’incontro ed alla considerazione, quali simbiosi può scegliere? Quali i possibili passi per una piena ed efficiente concordanza?

Bisogna avere il coraggio di trasformare il sogno in realtà. Perché avvenga dobbiamo credere nella forza dirompente del dialogo e nella sua capacità di sgretolare i muri. Dobbiamo credere “nel dialogo, paziente, veritiero, ragionevole: dialogo per la ricerca della pace, ma anche per evitare gli abissi che dividono culture e popoli e che preparano gravi conflitti”. È nostro dovere “aiutare ogni uomo e ogni donna, chi ha responsabilità di governo, soprattutto i giovani, “a rialzare gli occhi oltre il pessimismo, e scoprire come la speranza è vicina se si sa vivere l’arte del dialogo” (Assisi 2006), nella ferma convinzione che “niente è perduto con il dialogo, tutto è possibile con la pace!”.

Sempre lo statuto della Scuola, afferma che “il dialogo, arte nobile e difficile, richiede un paziente e articolato percorso formativo”, quali sono i percorsi da intraprendere per un cammino di formazione e di coinvolgimento?

 Dall’affermazione che il dialogo sia un’arte ne deriva la necessità che ci sia qualcuno che la insegni. Ogni forma d’arte ha bisogno di un maestro che trasmetta il suo sapere ad altri, ma come ricordava Paolo VI il mondo oggi non segue più i maestri ma i testimoni. Si accetta l’insegnamento di un maestro nella misura in cui è testimone. Per noi cristiani il modello di maestro-testimone è Gesù che nel compimento della sua missione, prediligendo la via del dialogo, ha suscitato la fede e ravvivato la speranza di tanti considerati lontani. Ne desumiamo che la difficile arte del dialogo ha bisogno di persone che credano nella sua forza dirompente e siano pienamente impegnati nella ricerca di un incontro costruttivo, libero da pregiudizi e da paure. Si auspica che tutti coloro che in ambiti diversi assolvono un compito educativo siano capaci di stimolare nel cammino di conoscenza il bisogno di confrontarsi e di accettare la diversità come opportunità di crescita personale e di sviluppo sociale.

Ci dica, se può, in cuor suo, quali sono i timori e le speranze sugli itinerari fin qui percorsi e su quelli da intraprendere. 

 Il cammino percorso finora, apprezzabile viste le difficoltà, ha privilegiato momenti e opportunità offerte dalla storia. Non basta. Non ritengo ci si possa limitare alla celebrazione di eventi perché si affermi la cultura del dialogo. È necessario creare iniziative con il carattere della continuità e l’odore della quotidianità che spingano i “lontani” per tradizione culturale e fede religiosa ad aprirsi alla novità dell’incontro. Bisogna arrivare all’obiettivo che non ci sia più una scuola del dialogo ma che il dialogo faccia scuola.

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