di Gerardo Pecci
Il patrimonio culturale è impregnato di storia, di civiltà, di umanità e il discorso pubblico sulla storia dell’arte, come scrive Tomaso Montanari, «è un tentativo di comunicare le conoscenze scientifiche». Infatti, la storia dell’arte è narrazione, discorso, divulgazione delle conoscenze acquisite attraverso la ricerca storico-artistica. Montanari inoltre ci avvisa, in modo chiaro e senza ambiguità interpretative, che il discorso pubblico sulla storia dell’arte è tale e resta tale soltanto «quando non resta impigliato nella promozione delle grandi mostre, o nelle sensazionali attribuzioni, o vendite all’asta, di ‘capolavori assoluti’».
Il tempo delle opere d’arte è il presente, la storia dell’arte ci offre le chiavi di lettura e interpretazione di questo presente stratificato nel tempo della storia. Giulio Carlo Argan ha affermato che la storia dell’arte è l’unica forma di storia che ci permette di dialogare in modo diretto con il tempo storico perché noi siamo in grado di interagire nel nostro presente con le opere d’arte che sono intorno a noi, davanti ai nostri occhi. La storia dell’arte dunque è l’unica forma di storia che si fa alla diretta presenza del protagonista: l’opera d’arte vive ed è in diretto rapporto con noi. Sta a noi saperla interrogare e cercare di trovare in essa le risposte alle giuste domande che le porremo. Lo storico dell’arte è una sorta di “detective” che dialoga con l’opera d’arte e si aspetta di ricevere risposte chiare e certe da essa. Lo stesso pensiero, in altro contesto, è stato espresso da Italo Calvino quando ha, in maniera chiara e inequivocabile, affermato che ogni cosa del passato è «il testimone della presenza di un altro tempo all’interno del nostro tempo, l’ambasciatore di un altro mondo all’interno del nostro mondo». Mondi diversi e tempi diversi in dialogo diretto, vivo, vivificante, in grado di aprire i nostri occhi, di liberare i nostri cuori a una dimensione ‘altra’, capace di metterci in contatto con il flusso incessante del tempo storico in cui siamo immersi in maniera incancellabile, indelebile, per trovare in fondo alla nostra anima e ai nostri cuori ciò che ci lega alla vita, ciò che le dà senso e sostanza. Mai come ora, in un presente che tende a ignorare gli altri presenti storici e a fagocitare tutto e ignorare la storia, è fondamentale e fondante ritrovare e valorizzare le testimonianze racchiuse nei beni culturali, nel patrimonio di civiltà che essi rappresentano, per cercare una via diversa per essere di nuovo persone consapevoli di sé, per ritrovare una strada in grado di restituirci la capacità di ritornare a essere umani, una strada vera, non certamente quella avvelenata dalla retorica nazionalista dell’identità a tutti i costi, messa in campo da certi nostalgici e ignoranti politicanti di oggi.
Oggi, quando ad esempio entriamo nel Pantheon, da poco tempo vergognosamente a pagamento, dobbiamo essere consapevoli di trovarci all’interno di uno spazio architettonico unico, straordinario e irripetibile, nel quale il nostro spazio e il nostro tempo incontrano il tempo e lo spazio del passato che ha contraddistinto la storia, più che millenaria, dell’edificio sacro a tutte le divinità del mondo pagano classico fino alla sua trasformazione in edificio sacro di Santa Romana Cattolica e Apostolica Chiesa e a mausoleo tombale dei Savoia. Dobbiamo essere consapevoli che ogni passo che muoviamo e ogni nostro sguardo sono permeati dai passi e dagli sguardi di chi ci ha preceduti. Dobbiamo essere consapevoli che viviamo l’esperienza di una dimensione spaziale e temporale impregnata di storia e di attualità, dove il nostro viaggio si innesta e si innerva sui viaggi di chi ha vissuto la nostra stessa esperienza. Il patrimonio culturale è un «altrove impastato del qui e ora», come ancora una volta ci ricorda Tomaso Montanari.
La politica politicante del nostro tempo naviga in acque perigliose e nonostante i guai in cui spesso si trova fa di tutto per trasformare il patrimonio culturale, che appartiene di diritto al popolo, a tutti, in occasione economica, in “attrazione a pagamento” e lo mette vergognosamente a reddito con biglietti di ingresso dai costi quasi mai bassi. Anzi, il ministro Sangiuliano sta rincarando la dose permettendosi di “pensare” e affermare che il costo del biglietto di ingresso nei musei dovrebbe essere più alto poiché, a suo modo di vedere, per me completamente errato e fuori da ogni logica, anche economica, quello che offrono i musei ha un costo elevato. La solita scusa…
Si tende, e non da oggi, a creare il “Grande Luna Park” del Patrimonio Culturale, ma rigorosamente a pagamento, per turisti facoltosi che calcano i suoli delle città “d’arte” italiane i loro musei e le aree archeologiche. Si pensa sempre di più di incassare soldi attraverso biglietti che sempre più, e mi dispiace scriverlo e fa male affermarlo, assomigliano al classico “pizzo”, per vedere e fruire di ciò che invece ci è stato trasmesso in eredità e ci è stato dato gratuitamente dal passato, dai tempi della storia umana. Viviamo in un tempo presente nel quale chi detiene il potere crede di essere anche il padrone della storia e della coscienza civile collettiva, facendo quello che meglio crede, con la scusa della “legittimazione elettorale”. Non è così. Non è assolutamente così! E in questo modo si va in una direzione politica pericolosissima. E lo stiamo vedendo in questa infuocata, non solo meteorologicamente parlando, estate 2023. Due esempi ci offrono il polso della politica culturale nell’Italia di oggi. Il primo è l’imposizione ex novo, come già accennato, del biglietto di ingresso al Pantheon, nel cuore di Roma, che è chiesa cattolica. Il secondo è l’aver allegramente trasferito nel Museo del Louvre, in Francia, a Parigi, per una mostra d’arte aperta fino all’8 gennaio 2024, molti capolavori d’arte pittorica caratterizzanti l’identità delle collezioni del Museo di Capodimonte a Napoli, contravvenendo a quanto tassativamente e giuridicamente previsto dal secondo comma dell’articolo 66 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, tuttora vigente. Una domanda è necessario porsi, pressante e cogente: possono i ministri disporre a proprio piacimento lo spostamento di opere dai fondi principali caratterizzanti l’identità delle stesse collezioni possedute da musei e pinacoteche di proprietà dello Stato? Può la politica infrangere la Legge? Chi controlla i controllori?