Scritto nel 2005 dalla scrittrice e poetessa canadese Margaret Atwood “Il canto di Penelope” è la riscrittura del mito di Ulisse secondo una nuova prospettiva tutta al femminile. A narrare la vicenda dall’Ade c’è Penelope che offre una propria versione del mito del marito. Il fantasma della donna ripercorre la sua storia a partire dalla nascita e il tentato omicidio da parte di suo padre Icario che ordinò fosse gettata in mare. “Non ho mai compreso il perché, da viva, ma ora sospetto che avesse saputo da un oracolo che avrei tessuto il suo sudario”.
La storia continua con la narrazione della sua infanzia da principessa spartana il contrasto con giovane e bella cugina Elena, fino al matrimonio avvenuto con Odisseo quando aveva quindici anni. Tra i due si instaura un rapporto di affetto e fiducia anche se la Penelope ormai regina fatica ad adattarsi nel suo nuovo regno di Itaca. Il rapporto con le nuove figure femminili del palazzo: la suocera Anticlea e l’atteggiamento prevaricatore di Euriclea, la vecchia nutrice di Odisseo. Rispettata da tutti per la sua affidabilità viveva a palazzo, da quando era stata comprata da Laerte. Conosceva tutto era una fonte inesauribile di informazione sulle famiglie nobili dell’isola, ma le era ostile. “Non permetteva che facessi niente, non potevo svolgere il minimo incarico peer mio marito, neanche un piccolo compito di quelli che vengono di solito affidati alla moglie, perché ogni volta era pronta a ripetermi che non era così che piaceva a Odisseo”. L’unica fonte di gioia per Penelope è la nascita del figlio Telemaco, ma l’improvvisa fuga di Elena da Troia sancisce l’inizio della guerra e la partenza di suo marito.
Ha inizio quindi l’assenza ventennale di Odisseo da Itaca: nei primi dieci anni aedi e messaggeri riportano le notizie della guerra che viene combattuta in Asia Minore, ma dopo la caduta di Troia le notizie si fanno più rade e confuse. La regina Penelope rimasta sola respinge ogni proposta, ma i proci ormai stanziati stabilmente ad Itaca consumano l’eredità dell’adolescente Telemaco con continui banchetti. Per gestire la situazione la donna usa le sue dodici schiave predilette come spie tra i pretendenti: la loro missione è quella di fingere di disprezzare la loro padrona per ottenere informazioni sui piani dei proci, ma alcune delle schiave vengono sedotte, altre stuprate.
Nel frattempo, il rapporto con Telemaco si fa sempre più conflittuale, finché il giovane principe non fugge da Itaca in cerca di notizie del padre. Per tenere lontani i pretendenti, Penelope ricorre al celebre stratagemma della tela: annuncia ai proci che sceglierà uno sposo non appena avrà completato di tessere il sudario del suocero Laerte, ma ogni notte insieme alle sue dodici ancelle disfa il lavoro della giornata. Una delle dodici finisce per rivelare l’informazione ai proci, che colgono la regina in flagrante e la costringono ad affrettarsi nella tessitura del sudario.
La situazione migliora con l’arrivo di Odisseo, che viene riconosciuto immediatamente da Penelope nonostante il suo travestimento. Tuttavia Penelope finge di non averlo riconosciuto e suggerisce di usare l’arco del marito per stabilire quale dei pretendenti potrà avere la sua mano e la sua corona. Mentre Penelope è nelle sue stanze, Odisseo e Telemaco compiono una strage tra i pretendenti e quando il re chiede ad Euriclea quali servi gli sono stati infedeli la sua vecchia nutrice accusa le dodici schiave. Odisseo dà l’ordine di ucciderle e Telemaco le impicca. Quando Penelope ritorna nella sala del trono si rende conto troppo tardi dell’uccisione delle sue ancelle e sa di dover nascondere il proprio dolore perché mostrare simpatia per loro potrebbe farla sembrare complice delle loro infedeltà.
Il racconto tessuto da Penelope porta in luce una nuova versione della storia, dell’antico mito greco e lascia spazio a nuovi spunti e riflessioni sull’agire umano.
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