Si potrebbe parlare delle situazioni di fronte alle quali siamo presi, interessati e coinvolti più o meno piacevolmente nei ritmi particolari delle comunità in cui viviamo, in un relazionarsi, compararsi, confrontarsi, sfidarsi. D’altro canto, però, si sente poi il bisogno di ritrovare se stessi, di ripercorrere determinati itinerari non solo esistenziali ma anche storici, geografici, vi è un’esigenza di reperire uno spazio, di riscoprire dei simboli, dei significati, per noi, per le persone che amiamo, per la nostra esistenza in un pensiero di senso.
Talvolta fieri e partecipi dei nostri sistemi e culture, ma pure bisognosi di sottrarsi a qualcosa e a qualcuno che spesso percepiamo come insopportabilmente greve. Insomma, siamo in cammino, continuo, giornaliero, con l’affrontare le varie difficoltà e le nostre inadeguatezze. E’ fondamentale allora per alcuni riscoprire il senso del cammino, che da una connotazione principalmente fisica, geografica si trasferisce nei meandri più remoti del nostro percepirci come persone, come uomini e donne con tutte le nostre più o meno irrisolte istanze. Il cammino non diventa solo quindi uno spostarsi fisicamente, ma assurge, se organizzato e meditato secondo certune massime, anche a ruolo e significato di un profondo ritrovarsi andando verso una meta, che è sì certamente geografica, ma anche vitale e spirituale. E’ sintomatico che l’anno che sta per chiudersi è quello che sta registrando maggiori presenze al Cammino di Santiago di Compostela. Monsignor José Francisco Prieto, arcivescovo di questa splendida città spagnola, parla di più di 473.000 presenze ed è già un record, anche se le cifre ovviamente aumenteranno, considerando che restano più di due mesi per la fine dell’anno. Le presenze sul famoso tragitto sono in aumento da diverso tempo, nel 2014 si era giunti a 238.000 persone mentre nel 2004 la cifra era di 180.000. Sembra quasi un trend in manifesta contraddizione, se da un lato vi è un allontanamento dai percorsi e dalle riflessioni spirituali e religiose riferite alla vita di ciascuno, dall’altro vi è un’esigenza in molti di cercare, di avvicinarsi, di camminare, di arrivare, proprio per tragitti che vanno oltre la datità, di “ciò con cui l’oggetto è dato”. Il mettersi in cammino può diventare quindi un’occasione per ritrovare e ristabilire certe armonie personali, può essere un momento particolare non solo per rapportarsi con il proprio corpo e il proprio fisico ma anche per richiamarsi con il proprio pensiero, una sorta di conoscenza, unica, personale, originale, al di fuori di ogni condizionamento.
Albert Camus, premio Nobel per la Letteratura nel 1957, ma pure filosofo, drammaturgo e saggista francese, ha voluto scandagliare instancabilmente le limitazioni e le grandezze dell’intelligenza, del pensiero, delle inclinazioni dello spirito dell’uomo. Tra la sua sconfinata letteratura ha scritto dei brevissimi versi sul percepire i cammini, che porgiamo con riservato garbo al lettore: Non camminare davanti a me, potrei non seguirti. Non camminare dietro di me, non saprei dove condurti. Cammina al mio fianco e saremo sempre amici.