I film belli li riconosci subito. È questione di un attimo, di un’inquadratura, di un dettaglio apparentemente casuale posto in primo piano, di un rumore. I film belli ti emozionano già dai primi minuti, prima ancora che inizino a raccontare la loro storia. Lo si percepisce, è una sensazione, è un’aura di magia che ti travolge dai titoli d’apertura a quelli di coda e che non si può non notare. I film belli non sono molti. ‘È stata la mano di Dio’ di Paolo Sorrentino è uno di questi.
Napoli, gli anni ’80, le folkloristiche famiglie del Sud in cui ogni componente è immischiato nella vita dell’altro, Maradona, il calcio, la passata di pomodori, le superstizioni, una società che tiene i piedi per terra e che si scontra con quella di chi non riesce a stare ancorato a quel terreno ma guarda un po’ più in alto. È stata la mano di Dio è il più intimo racconto del regista partenopeo che fa dell’estetica, della sensibilità e dell’intelligenza i suoi punti di forza. Sorrentino ci ha abituato alla bellezza in ogni suo lavoro, la sua mano la si riconosce in ogni cosa che tocca, nella perfetta fotografia studiata in ogni minimo dettaglio, nelle citazioni classiche, nel racconto della vita di personaggi eclettici, solitari, outsider ma questa volta la storia che sceglie di raccontare non è quella di qualcun’altro ma la sua. Questa pellicola, infatti, mostra a tutti come un ragazzo di Napoli, che fa il classico, ama la letteratura e ha la dote di saper osservare il mondo sceglie di dedicare la sua vita alla fantasia perché la realtà “è scadente”, lo tradisce, lo rende orfano, solo, senza più niente a cui potersi aggrappare. Ed è da qui che nasce l’amore, anzi, il bisogno di fare cinema di Paolo Sorrentino.
Con questo film, il regista de La Grande Bellezza ci lascia entrare nel suo passato, ci rende testimoni di uno spezzone della sua giovinezza, di una sua tragedia personale e ci trascina dentro un quadro dell’Italia degli anni ’80 accogliente, familiare, caldo e dal quale non si vorrebbe mai uscire. È stata la mano di Dio è italianità, è Sud, dialetto, poesia, territorialità ma più di tutto è cinema, quel cinema italiano dalla sensibilità marcata che si eleva sempre un gradino sopra gli altri.
È stata la mano di Dio è un excursus di diversi generi di racconto accostati sapientemente l’uno affianco all’altro. Si parte dalla commedia italiana nelle prime e divertentissime scene del film per poi passare al dramma familiare, al racconto di formazione, alla riflessione sull’essenza del cinema stesso concludendosi con le sembianze dell’autobiografia. È stata la mano di Dio è un viaggio che lo spettatore fa non solo tra diversi stili ma anche attraverso la crescita del personaggio principale, all’identità dei personaggi che gli stanno intorno e a un’ambientazione tra il mistico e il realistico più assoluto.
Vedere il film scaturisce un turbinio di emozioni, dalla gioia alla tristezza, dalla rabbia alla compassione e permette a chiunque di rivedersi in quello scorcio di vita casalinga che nel bene o nel male appartiene, o è appartenuta, a tutti. È una morsa al cuore per gli spettatori, in senso positivo, e ancora di più per tutti quelli che, come il protagonista del film, hanno l’animo artistico e credono che l’immaginazione sia meglio della realtà o, perlomeno, in qualche modo, possa arricchirla. Ed è così che si sceglie di perseverare per diventare artisti, scrittori, musicisti, cineasti, per rendere quella realtà che ci appare scadente un po’ più bella e il cinema, come tutte le altre arti, ha il potere di farlo anche se, apparentemente, non serve a niente.