L’episodio è famoso e rappresenta uno spaccato straordinario della vita e della personalità del grande dictator romano. Cesare era di ritorno dalla Gallia e si trattenne a Milano, ospite di un facoltoso liberto, Valerio Leonte che, come ogni buon padrone di casa che si rispetti, diede sfoggio di tutte le sue facoltà finanziarie con un lauto banchetto. Dell’episodio ce ne parla la grande archeologa Gemma Sena Chiesa, eminente personalità nel panorama culturale italiano, docente emerita presso l’Università Statale di Milano ed ancora attivissima nonostante i suoi novanta e passa anni. Le fonti utilizzate dalla docente sono molteplici, si va da Plutarco ad Anna Ceresa Mori, da Mario Torelli a Gino Bandelli. Nello studio si parla della cosiddetta “romanizzazione” delle ex province romane, infatti, la Gallia era ancora una “provincia” romana e diventerà parte integrante dell’Italia quando Cesare sarà già scomparso. La cornice ove avviene il convivio è molto particolare dal punto di vista architettonico, la casa “doveva avere un impianto di tipo romano ed un elegante triclinio con pavimentazione cementizia a tessere o lastrine marmoree, dove gli ospiti venivano accolti”, ci riporta la professoressa Chiesa. Ma anche l’illustre condottiero dovette affrontare le sfide di quella prima globalizzazione avviata dal suo popolo dominatore, e ciò avvenne proprio nel settore gastronomico: tra le tante pietanze, quel giorno vennero portati anche degli asparagi, una vera e propria leccornia, tanto è vero che la stessa nave adibita nelle flotte al trasporto degli asparagi si denominava asparagus. I romani attribuivano a questa pianta delle proprietà eccezionali, che andavano ben oltre il fatto meramente gustativo, pensavano, infatti, che l’asparago potesse avere addirittura delle caratteristiche rigeneranti e tonificanti, oltre che un sapore eccellente. A Cesare ed ai suoi accompagnatori, però, il tutto venne offerto condito con burro invece che con olio d’oliva, un altro alimento insostituibile per gli italici conquistatori, e ciò avvenne perché la cucina di Mediolanum risentiva comunque delle particolari tradizioni gastronomiche della Gallia Cisalpina che, a sua volta, aveva preso pari pari molte tendenze della tradizione alimentare dei Celti. Questo popolo, acerrimo nemico di Roma, orgoglio ancora oggi di una certa cultura isolana anglosassone, era però originario di una zona situata nel cuore del continente europeo, tra la Francia, la Svizzera e la Germania sud-occidentale. Così, mentre gli amici di Cesare non mangiarono gli asparagi al burro, lui ne prese in porzioni abbondanti e non si sa, e qui è il bello, se per il piacere di gustarli o per dovere e garbo nei confronti di chi li stava ospitando, rimproverando aspramente coloro che avevano rifiutato di assaggiarli. La grande archeologa milanese ci riporta nel suo studio: “L’aneddoto è narrato da Plutarco come esempio della grande signorilità del comportamento di Cesare e della sua accortezza in ogni circostanza”. La famosa locuzione, erroneamente attribuita a Cesare proprio in questo episodio, certamente non è riportata da Plutarco, né da altre fonti, sembra che fosse però in uso nel periodo latino classico, anche se è proprio vero che “non bisogna discutere sui gusti”. “De gustibus non disputandum est”.