Robert (Bob) Capa, al secolo Endre Ernő Friedmann, nato a Budapest nel 1913, è il più grande fotografo di guerra. È sua la fotografia di guerra più celebre nella storia del fotogiornalismo, oltre, ovviamente, agli straordinari momenti immortalati durante il “D-Day”, lo Sbarco in Normandia, quella de “Il miliziano colpito a morte” The Falling Soldier. In molti l’hanno associata, non si sa quanto forzatamente, alla fucilazione de Il 3 maggio 1808, di Francisco Goya; nella foto vi è un miliziano ritratto proprio mentre viene colpito durante un’azione. Oggetto di contestazione e di ammirazione, fonte di critiche ma anche di notorietà, la foto venne pubblicata sulla rivista VU nello stesso anno in cui venne scattata, il 1936, durante la Guerra Civile Spagnola, e poi su Life, dando fama e prestigio a livello mondiale a Bob Capa. Le perplessità e le polemiche sul celebre scatto non si sono mai sopite, fino a giungere alla conclusione (forse) che luogo e data non fossero esatti anzi, che tutto sarebbe stato meschinamente inscenato, una falsa battaglia, un falso miliziano, una falsa morte. Tutto questo clamore nella prima metà degli anni Settanta, anche se lo stesso Capa avrebbe affermato che si fosse trattato di uno scontro episodico e non di una vera e propria battaglia. Lui avrebbe scattato in quell’occasione diverse foto, facendo bene attenzione di non esporsi al fuoco, addirittura, secondo alcune fonti, scattando foto alla cieca, tenendo alzata la camera al di sopra della sua testa. Fatto. Poi inviò tutto il materiale fotografico al suo giornale, senza, ovviamente sviluppare le foto, fu solo dopo un po’ di tempo che conobbe la foto e si rese conto di quanto questa fosse divenuta famosa, una volta rientrato dallo scenario di guerra. Negli ultimi tempi, sembra sia stata sempre di più accreditata l’eventualità che fosse stata addirittura un’altra persona a scattare la foto, la quale si trovava con Capa durante lo scontro a fuoco. Tutto ciò nulla toglie al famoso fotografo di Budapest che, fuggito dalla Germania hitleriana perché di origini ebraiche, e dove aveva ultimato gli studi in Scienze all’università di Berlino, dopo la guerra civile in Spagna, la guerra tra Cina e Giappone e la Seconda Guerra Mondiale ha calcato le scene di altri conflitti, quali la guerra arabo-israeliana e quella d’Indocina. La famosa foto pubblicata nel 1936 da Bob Capa colpisce, impressiona, sconcerta, profondamente, non di rado irrita ed agita. Essa è diventata un simbolo della vanità della guerra, del pacifismo e della volontà dell’uomo di riflettere sulla guerra e sulla pace. Il miliziano nel momento esatto in cui viene colpito durante la tremenda contrapposizione fratricida spagnola, richiama impellentemente altri pensieri e valutazioni, che vanno ben oltre l’oggettivo attimo immortalato dal fotografo ungherese, nonché di tutte le minuziose disquisizioni fino ad oggi elaborate su tale foto. Essa rappresenta
anche un’altra “caduta”, è qualche altra cosa ad essere “colpita”: col povero miliziano cade anche l’idea di ricerca della pace e del bene attraverso la contrapposizione rigida, che usa la guerra come strumento che genera la pace e le dinamiche socio-economiche tipiche dei tempi di pace che quali probabili moventi di contrasti e di guerre; che vede la contrapposizione tra due blocchi, per fini giusti o sbagliati non conta, come unica opportunità di duratura pace. E’ come se tale foto fosse diventata l’icona di un dramma personale e collettivo, di ideologie verosimilmente elucubranti, oltre che di un pacifismo affranto, che reclama, che enuncia piuttosto che annunciare, che accampa meriti invece di guadagnarli, che ha più attinenze che indipendenze, che ha più ambiguità che chiarezze, di tutta una serie di “muro e contro muro” che la storia di lì a poco ci avrebbe fatto vedere. Dai Trattati di Parigi del 1947, alle palpitanti narrazioni di speranze e nubi che sembravano dissiparsi, passando per la Berlino della Guerra Fredda, fino alla drammatica situazione in Medio Oriente. A ciò si contrappongono scenari ben più attuali e drammatici quali crisi economica, virus, guerra russo-ucraina, non dimenticando l’Isis. Si potrebbe parlare di imbarazzo della scelta. Non è chiaro veramente se la forza contro la forza abbia portato oggi ad un clima di autentico e sereno equilibrio mondiale, una parte significativa dell’impianto di pace edificato dopo la seconda Guerra Mondiale sembra essere andato in frantumi, come non di rado papa Francesco ha affermato parlando di “terza guerra mondiale a pezzi”. “Aprire e tracciare un cammino di pace è una sfida, tanto più complessa in quanto gli interessi in gioco, nei rapporti tra persone, comunità e nazioni, sono molteplici e contradditori. Occorre, innanzitutto, fare appello alla coscienza morale e alla volontà personale e politica. La pace, in effetti, si attinge nel profondo del cuore umano e la volontà politica va sempre rinvigorita, per aprire nuovi processi che riconcilino e uniscano persone e comunità”, così ancora papa Francesco nel messaggio per la celebrazione della 53° Giornata Mondiale per la pace, il 1° gennaio 2020. Ma anche una riflessione laica, antropocentrica porta comunque ad un’istanza forte al cuore dell’uomo, alle coscienze, poco contano le fedi e le politiche, le ragion di stato: Ernst Bloch, filosofo tedesco di origini ebraiche, scomparso nel 1977, parla di un “principio speranza”, di una speranza trasversale, che permea ogni manifestazione dell’uomo, dalla più elementare e quotidiana a quella più articolata, aulica, anzi, anche nei sogni di ogni uomo vi è un presentarsi, con dolcezza ma anche con insistenza, di questa speranza. Non necessariamente tale principio di speranza è da contrapporsi ad altre dinamiche culturali e sociali, esso è autonomo, spontaneo, vive quasi di luce propria, è nell’uomo che pensa ed esiste, ma nettamente e naturalmente si contrappone al principio dell’angoscia, del predominio, dell’iniquo. Leone Ginzburg, letterato di origine russa vissuto in Italia, curò la revisione e la prefazione dell’edizione di Guerra e Pace di Tolstoj, pubblicata in Italia 1942, con la traduzione originaria di Enrichetta Carafa d’Andria rivista poi dallo stesso Ginzburg. La prefazione non portò mai il suo nome, ma solo un asterisco, per le imposizioni delle Leggi Razziali, e il letterato svolse la sua minuziosa opera quando si trovava confinato a Pizzoli, un piccolo borgo in provincia dell’Aquila. Nella prefazione è evidenziata una sorta di biunivocità riferita all’atteggiamento di alcuni personaggi, vi è come una naturalezza e bellezza di vita staccata della realtà del “mondo della necessità”, di una lontananza tra pace e guerra, tra sentimenti e necessità, di una guerra che è il mondo storico e di una pace che è il mondo umano. Ed è proprio il mondo umano a cui è interessato Tolstoj, “egli è convinto che ogni uomo – di ieri, di oggi, di domani – valga un altro uomo, che in tutte le epoche come in tutte le coscienze sorgano sempre i medesimi problemi: se il mondo storico è calato nel tempo, e perciò relativo e condizionato, nel mondo umano sono valide le leggi assolute della vita morale, e le azioni buone o cattive hanno un valore preciso”. Giovanni Paolo II ne ha fatto un cruccio nella sua riflessione filosofico- teologica: se ciascun uomo, ha spesso argomentato, si arroga il diritto di decidere da solo, anche senza Dio (o senza un dio), ciò che è buono o cattivo, potrebbe un giorno anche disporre che un gruppo di uomini possa essere annientato.