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Nell’antica Grecia le emozioni non erano considerate come vissuti personali, ma energie universali, fenomeni archetipici, esperienze sacre. Ogni stato interiore non apparteneva all’ Io, alla storia individuale, ma a quella dimensione interna e misteriosa che era situata fuori dallo Spazio e dal Tempo.

Attraverso la mitologia e la ‘costruzione di storie’ i Greci hanno parlato del mondo dei sentimenti e delle emozioni, il cui scopo era quello di condurre il popolo alla conoscenza delle dimensioni che regolano il funzionamento della psiche e della conoscenza di se stessi.

Queste forze che sono sono percepite dalla mente razionale, sono quelle che Jung definiva gli “archetipi”, o “immagino primordiali” e che, come aveva già detto Platone sono la “fonte simbolica” dalla quale attingono sia il mondo visibile fatto di persone, animali e oggetti, ma anche quello invisibile, ovvero quello delle idee e dei pensieri.

Lo psicoanalista americano Hillman nel manifesto “Why ‘ archetypal’ psychology? del 1970 sostiene come i miti appartenenti al Pantheon greco rappresentano in maniera simbolica le passioni, sia quelle positive che negative, sia le pulsioni creative che quelle distruttive che caratterizzano i comportamenti umani.

Secondo tale modello, la mente umana è come un teatro, all’ interno del quale gli dei recitano a soggetto dei ruoli che sono consoni con la loro essenza e le immagini create da essi e dalle reciproche interazioni, risuonano nell’ animo dell’ individuo sotto forma di sentimenti ed emozioni, che sono il vero motore dell’ agire umano.

Foto presa dal Web

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