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Forse il momento più particolare vissuto in occasione di questa visita a Roma è stato poter ammirare La Crocifissione Bianca di Chagall, presso il Museo del Corso – Polo Museale. Questo evento è stato organizzato in occasione del Giubileo dal Dicastero per la Evangelizzazione, dal Commissariato Straordinario dello Stato Italiano per il Giubileo del 2025 e dalla Fondazione Roma. Il mistero dell’opera è stato vissuto in maniera intensa, immersa, profonda, se da un lato a Via del Corso vi erano migliaia di persone e presso Fontana di Trevi bisognava farsi largo letteralmente sgomitando tra la folla, l’incanto si è ancora perpetuato perché entrando in museo, nel Palazzo Sciarra Colonna, si è percepita immediatamente la sensazione di un grande raccoglimento, di una grande dimensione spirituale, assolutamente trasversale, che non teneva conto delle fedi e delle laicità, di fronte a questo capolavoro che traspare e trascende necessariamente ogni confine. Nonostante vi fosse un profondo e particolare schema artistico per l’approccio a questo quadro, si è avuta la sensazione che nessun visitatore lo stesse applicando, vivendo in una dimensione, in una prospettiva autenticamente ed unicamente personali. Lasciando alla storia dell’arte e ai critici d’arte altre riflessioni, in maniera schematica però si individua uno Chagall che pur non raffigurando se stesso si percepisce comunque come una sorta di portatore di un anelito, di un messaggio che afferisce in maniera preminente ai temi della speranza, dell’attesa. La realizzazione è ad olio su tela, ma pur bandendo ogni disquisizione tecnica, tra sorpresa, stupore e commozione vi è la sensazione anche che l’opera sia paradigmatica per i nostri tempi, oltre che sintomatica. Mentre nel Le Christ et le peintre la figura di uomo con i tratti abbozzati, tiene il braccio sinistro rivolto verso la croce e nella mano destra una menorah, questo candelabro ebraico a sette bracci da cui si diffonde una luce tenue con due piccoli semiarchi di colore giallo e blu, e sembra che il tutto si focalizzi su un dramma a tema forte ma comunque delimitato, qui invece la scena multipla con vari contesti presenta un uomo che porta in spalla un sacco, mettendo forse in salvo il mondo, o quantomeno tutto ciò che resta di esso, prima che sia troppo tardi. Sembra quasi un invito alla riflessione, alla ricerca di percorsi di pace e di dialogo, di comprensione, di studio delle religioni e di conoscenza delle tradizioni, all’incontro con chi possa sembrare solo e meramente indistinta alterità, a non buttare via tutto, a raccogliere, a recepire. Nella scena dove Chagall rappresenta la violenza nazista è netta la percezione di un messaggio universale che non esclude nessuno: quantunque si possa ritenere di essere dalla parte del giusto, ciascuno deve interrogarsi, ora più che mai in maniera pressante, sul proprio vivere le dimensioni di pace, di incontro. La scena terrorizza, sembra che tutto sprofondi a causa della violenza nazista con una ferocia mai vista, vi è tuttavia una tremenda ridondanza di questo messaggio, che riguarda ogni componente che utilizza violenza per perpetrare i propri scopi, sembra che nell’opera del pittore russo, che ha voluto inglobare nella propria esperienza artistica i grandi episodi di crudeltà dei pogrom e delle deportazioni del suo popolo, ci sia un monito per tutti, nessuno escluso. La “violenza giusta”, al di là dell’ossimoro della locuzione, non esiste, “fa parte di un linguaggio sovrastrutturale che non sempre conduce a percorsi di verità”, verità che è inderogabilmente un valore comune, sempre, mai di pochi eletti. Allora siamo passati all’acqua, che è il più essenziale dei beni comuni, risorsa su cui è urgente investire, l’Unesco in un suo rapporto parla di “sette procedimenti più comuni per dare valore all’acqua”. Il Parco degli Acquedotti a Roma, in un’area attigua alla Via Tuscolana, vicino a Cinecittà, è uno di quei luoghi che rigenera e rimanda, forse in maniera meno articolata rispetto ad un dipinto, a valori universali e condivisi, ad itinerari di concordia, unione, luminosità, limpidezza, trasparenza. E’ il vecchio Acquedotto Claudio, Acqua Claudiia e Anio Novus, la cui costruzione è iniziata con Caligola nel 38 d.C. ed è terminata con Claudio, nell’anno 52, che affiora in zona Capannelle e attraversa lo splendido Parco, con il tratto più maestoso nell’area di Casale Roma Vecchia. E’ realizzato con materiali diversi, il peperino (di colore grigio-verde) e il tufo rosso, ed è caratterizzato da due canalizzazioni dell’acqua. Al condotto dell’acqua Claudio, in peperino grigio-verde, era sovrapposto quello dell’Anio Novus (Aniene Nuovo) in opera laterizia (opus latericium), in cementizio e mattoni, diffusissima nell’edilizia romana. Il Parco e di una fruibilità quasi sconcertante, ci si trova dentro senza nemmeno accorgersene, si può dire che anch’esso, fatalmente e ineluttabilmente, accoglie e include con assoluta naturalezza. Intelligenti pauca. Da vedere e visitare.

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