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La poetessa Angela Furcas è una straordinaria figura, che ha plasmato magistralmente il suo eclettico percorso nei panorami letterari, accademici e interculturali della penisola. Ne pubblichiamo, in esclusiva per Resportage, un profilo con ella concordato, che è memoria, speranza, ascesi, introversione, saggia e accorta umanità, per un individuo sempre più sollecito a cammini di concordia e armonioso ritrovo, per ogni persona di qualsivoglia pacifica prerogativa. A lei va un profondo ringraziamento.

Tutto è Parola creatrice, sorgente da se stessa, rigenerante e condizionante ogni forma che emana dal Grande Essere. Scrivere è rivelare ciò che in segreto lo Spirito dice all’anima in ascolto.”

Con queste parole la Poetessa Angela Furcas introduce il suo ultimo libro di Poesie e Meditazioni “Anima di Vento”, pubblicato da Edizioni “Il Saggio”, e dedicato “A Mistici e Poeti, cui tocca tenere acceso il lume allo Stupore. Ai pensieri nascenti e a chi l’intenda nel sillabarsi e sosti ad ascoltare ciò che resta di un breve attimo di eternità.”

Poetessa, Critico Letterario e docente di Sacre Scritture, Angela Furcas è nata in Sardegna nella città di Iglesias (CA). Trasferitasi a Salerno, si è laureata con lode in Lingue e Letterature Straniere Moderne con una tesi su Oscar Wilde. Coltiva lo studio di diverse Lingue Orientali alla ricerca di atmosfere ancestrali dei percorsi, nei quali si è diramata la Lingua originaria, fra le quali l’Arabo e l’Ebraico per lo studio della Tōrāh e del Corano; da poco ha anche iniziato lo studio della Lingua Cinese.

Per Angela Furcas, pluriaccademica, organizzatrice di numerosi eventi artistici, culturali e letterari, la Poesia è l’anima di tutte le Arti: “Poesia è Pasqua di parole, che trae dal buio il grano germogliato, in una liturgia quaresimale. È la prece che sale dallo speco dell’anima, per sentieri di mirra e d’incenso. È laude di un’arca aperta al cielo. È la colomba che solca terre inabissate verso un ramo d’ulivo. È il fuoco che arde e non consuma il roveto, nel Sinai del cuore. È passaggio, è trasmigrar d’essenza di genti fatte verbo, a dimorare in terre ove scorrano latte e miele.”

Nella prefazione del Prof. Francesco D’ Episcopo intitolata “L’umano e il divino” leggiamo: “La sua origine da una terra, la Sardegna, come ricordava Grazia Deledda, percorsa dal vento della vita e della memoria; la sua intima e intensa vocazione alla poesia portano i segni di un profetismo biblico, che, animato e arricchito da altri referenti teologici, proprio nel discorso poetico ha modo di esprimersi con la sua più naturale efficacia. Angela non scrive, ma, come sosteneva Luigi Pirandello, viene scritta da un’energia, da una forza, che la trascende e di cui la poetessa si fa felice interprete. La sua fede è profonda e il divino, nella paternità del Signore e nella maternità di Maria, oltre, come si è accennato, ad altre divinatorie influenze, si effonde sino a contemplare nel suo spettro, ampio e articolato, tutto ciò che di positivo e di solidale può celarsi in ogni manifestazione dello spirito, rivolta al Bene nel nome dell’Assoluto. Si vuole, insomma, dire che in questa poesia c’è una sacralità che mira a rispecchiare il volto sano e autentico della vita, oltre ogni falsità, ogni mistificazione. La poesia diventa così naturalmente una forma di religione e le parole di Angela diventano al femminile quelle di un Angelo, disceso sulla terra per mostrare il miracolo della creazione e della creaturalità, che dovrebbe unire tutti gli esseri umani in un abbraccio senza fine, capace di violare i confini del presente e del transeunte. Sotto la spinta di un’ispirazione, che congiunge, carnalmente e misticamente, umano e divino, Angela Furcas ci regala una silloge consapevole e compiuta, in cui la metafora, la sinestesia diventano espressione di un denso e intenso dialogo interiore, che la poetessa imbastisce con la vita, al fine di scostare il velo che impedisce di capire e, soprattutto, di amare. Lo spessore opaco dell’esistere è così rimosso da una sensibilità che invoca l’unico dialogo possibile: quello affidato all’amore, alla comprensione.”

Angela Furcas a proposito della sua vocazione scrive: “I primi tempi mi sentivo quasi colpevole di quella strana mania che mi induceva a tradire il mio consueto linguaggio. Era il dettato di un Verbo sconosciuto. Erano rimembranze prenatali o il ricordo della voce di mia madre che mi recitava con enfasi le poesie, che ancora non potevo leggere? Usciva dal suo ruolo consueto e sembrava trasfigurarsi, nel suo iniziarmi a qualcosa che avrebbe inquietato la mia vita futura. È stata la mia guida alla poesia dell’esistenza. Eravamo solo noi due, quando mi indicava la bellezza della Natura intorno, nella sua profusione di forme e di colori, in quella terra provvida d’incanto ch’è la Sardegna. Forse è stata anche la voce del Vento che parlava una lingua sconosciuta e possente, che sembrava travolgermi nei suoi sibili angosciosi, rimproverandomi di avere dimenticato un connubio preesistenziale. Il Vento rivendica il suo antico ruolo, m’inquieta a scrivere e poi si allontana con la rapidità con cui è giunto, lasciandomi parole orfane dell’empito iniziale, che le aveva fecondate. Parole che hanno l’ansito a fluttuare libere, negli spazi aperti del mare senza fine dell’Immaginazione. Antichissimi scritti rivelano che il primo Nome di Dio era: “Soggiogator dei Venti”. Deve averli sparsi con mansioni speciali per insufflare la conoscenza del Sé, ch’è anche la conoscenza di Dio, meta prima ed ultima di tutta la Creazione. Via privilegiata, i Talenti. Nel mio caso la Poesia nutre la Fame di Vento dello Spirito. È come se perpetuamente la Bellezza si offrisse a noi nel Suo antico splendore e noi ne percepissimo un infinitesimo barlume.

Una parte di noi sa che c’è dell’altro, che potrebbe saziare la sua inestinguibile fame di vera conoscenza e che s’intravede quando l’ispirazione varca la soglia dell’umano e ci apre la porta verso tracce di noi, disperse nei deserti di una memoria, che ogni tanto una goccia o una lacrima fanno fiorire, come le rose di Gerico, sopravvissute al tempo, alla vampa del sole, alle distese illimitate della dimenticanza. Ho inseguito la Poesia, ogni giorno, senza trovarla. Ho capito che nessuno può raggiungerla da solo. Non si paleserà interamente, finchè non sarà chiaro a tutti ch’è il cibo prediletto dall’anima per rigenerarsi. È giunto il tempo della riconciliazione di tutte le parti di quest’immenso mondo e solo la Poesia può operare questo miracolo, non solo quella scritta, ma soprattutto quella vissuta, come suprema magia che tutti accomuni in una sola gente, in un solo cuore, in una sola anima. La Poesia è il legame inossidabile tra il passato e il presente e riunisce le generazioni che ci hanno introdotto alla vita. La poesia è il sentiero verso un Regno d’inarrestabile trascendenza e con la chiave di un verso si possono aprire le porte, che celano le infinite raffigurazioni, che il pensiero ha lasciato nel sonno e nella veglia di coloro che ci hanno preceduto. La Poesia riunisce il puzzle di una memoria ancestrale criptata di tutti i versi scritti o immaginati dall’origine del mondo.”

Nella postfazione del libro che abbraccia nove capitoli dedicati alla: Sardegna; Poesia; Fede e Spiritualità; Città e Paesi; Familiari; Dediche; Natura; Meditazioni; In Memoria; nella sua “Dedica”, Enzo Landolfi così scrive: “Angela quando canta al cielo soavi elegie, ha il pregio e la capacità di elevare a diamantina liricità tutto ciò che pensa e scrive, cogliendolo in ogni angolo di mondo, con l’innata attitudine di saperlo trasmettere a chi legge” e Amedea Lampugnani ne “Il vento e la parola”, di lei dice: “Angela non è stata travolta dal vento della parola, perché ella stessa è parola, ella stessa è vento, a volte, impetuoso e sublime, che avvolge e stringe l’anima sino alla catarsi, altre invece, lieve e fresco, come una giornata di primavera, quando il sole fa capolino sulla rugiada dei prati.

Lei che ha conosciuto il Grecale e il Libeccio di Sardegna, terra di antiche tradizioni popolari e di millenaria storia, terra di devozione atavica, di pensiero e di contemplazione superiore della vita e delle cose al di là della vita, intesse serti di mirto profumato con le parole scaturite dalla sua anima.

Il vento della poesia non riesce mai a colmarla completamente, a saziare la sua “fame”, il suo bisogno di raggiungere il Divino, la sua ricerca dell’armonia e della bellezza in ogni loro forma.

Cercare Dio, è un’impresa eroica in questa nostra umana esistenza, cercare la Fonte dalla quale siamo scaturiti e alla quale aneliamo ritornare è, come dice la poetessa, il desiderio di ricongiungerci ad Essa, desiderio che si trasforma in fame d’amore per tutto ciò, che sotto questo cielo, è bello, è Santo e giusto, e che Angela riesce a cantare nei suoi scritti, nei quali le parole divengono briciole di bianco pane lasciate sul sentiero che riporta a casa, alla “Sorgente della Vita”, al “Punto di origine”. Dovrei usare ancora molte, e senz’altro, troppe parole, per esprimere tutte le riflessioni, tutte le emozioni, tutti i sentimenti, che la lettura di ogni “parola” di Angela fa scaturire nella mia mente, e nel mio cuore, ma proprio perché, come dice la poetessa, le parole sono “dimore effimere del Vento” ed eccedere nel loro uso, può essere fuorviante, può condurre in luoghi che non sono quelli in cui l’Autrice dimora, voglio essere parca e usarle come fossero preziose pagliuzze d’oro zecchino, fatte di luce.

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