Il 29 settembre 2024 il Presidente della Repubblica Tedesca, Frank-Walter Steinmeier, ha chiesto ufficialmente scusa a nome del suo Paese per l’eccidio di Marzabotto, “Provo dolore e vergogna”, l’ha pronunciato davanti a una illustre platea nella quale vi era anche il nostro Presidente Mattarella, la gente, in piedi, ha applaudito. Qualcuno ha parlato di fantasmi, che pur provenendo dalla storia passata non l’hanno lasciata, razzismo, nazionalismo, antisemitismo non devono mai essere dimenticati. La strage fu efferata, senza la minima pietà, perirono 776 persone (1830 nei rastrellamenti in tutta la zona), tra le quali donne (316), anziani (142) e bambini (216). Gli Alleati non erano poi tanto lontani dalla zona di Marzabotto e di Monte Sole, ma purtroppo Albert Kesselring, comandante in capo delle forze tedesche in Italia, aveva emesso un ordine chiaro e perentorio, quello di radere al suolo tutte le retrovie del fronte. Le disposizioni del feldmaresciallo Kesselring furono molto dettagliate, particolari: non vi sarebbero state richieste di chiarimenti per qualsivoglia eccesso nella repressione da parte degli uomini del 16° Battaglione Corazzato Esploratori delle SS, avevano praticamente più che carta bianca. Anzi erano stati esplicitamente incoraggiati a compiere le più efferate azioni nei confronti non solo dei 300 partigiani che operavano in quella zona, ma anche e soprattutto nei confronti della popolazione inerme. Il resto della storia e drammaticamente noto a tutti, ma ciò che forse non è a conoscenza di molti è la sorte toccata al Albert Kesserling che ricordiamo, quale comandante supremo, ogni azione doveva approvarle e ordinarla personalmente. L’alto ufficiale tedesco venne catturato nel maggio del 1945 e, ovviamente, accusato di crimini di guerra, il processo si celebrò presso il Tribunale di Venezia, dal 17 febbraio al 7 maggio del 1947, sotto la giurisdizione militare dell’Esercito Britannico. Kesselring venne giudicato non solo per la strage di Marzabotto, ma anche per i capi di imputazione relativi all’eccidio delle Fosse Ardeatine, e la sentenza fu la condanna a morte per fucilazione. In merito a quest’ultimo capo, il Tribunale riporta: Il 28 giugno 1944 l’imputato aveva lanciato via telegrafo un appello alla popolazione italiana in cui condannava il metodo di lotta adottato dagli alleati in Italia. Egli accusava i Comandanti alleati di aver emanato una serie di proclami nei quali si incitava la popolazione italiana ad assalire le postazioni militari tedesche, ad attaccare le sentinelle pugnalandole alle spalle e ad uccidere quanti più tedeschi potevano. Egli continuava: “Fino ad ora ho dimostrato che per me il rispetto dei principi umani è questione di normale logica … Tuttavia, come Comandante responsabile, non posso più esitare a prevenire, con i mezzi più repressivi, questo deprecabile e medievale metodo di lotta. Avverto che da ora in poi utilizzerò questi mezzi. I seguaci degli alleati e gli elementi sovversivi sono ammoniti a non persistere nel comportamento dimostrato finora.” Il 1 luglio 1944 l’imputato aveva diramato un secondo ordine alle sue truppe, in cui sottolineava che l’annuncio diramato via etere non era una vuota minaccia. L’ordine diceva che “laddove c’erano numeri considerevoli di gruppi partigiani, una parte della popolazione maschile di quell’area doveva essere arrestata. Nel caso in cui fossero stati commessi atti di violenza, questi uomini sarebbero stati uccisi. P.11 La popolazione doveva essere informata di ciò. Nel caso in cui le truppe, ecc. fossero state fatte oggetto di attacchi di fuoco da un villaggio, quel villaggio sarebbe stato bruciato. Gli esecutori dell’azione o i leader che guidavano il gioco sarebbero stati impiccati pubblicamente.” L’ordine finisce con la frase: “Tutte le contromisure devono essere dure ma giuste. Lo richiede la dignità del soldato tedesco”. (Atti dei processi contro i criminali di guerra, Commissione ONU per i Crimini di Guerra Vol. VIII, Londra, Libreria dello Stato, 1949 – Tribunale Militare Britannico a Venezia, Italia 17 Febbraio – 6 Maggio 1947, A. Descrizione del procedimento, I capi di imputazione, sito Ministero della Difesa, Il processo ad Albert Kesselring). Ma subito dopo la condanna vi fu una vera e propria levata di scudi in favore del feldmaresciallo, che vide coinvolto addirittura Winston Churchill e lo stesso generale Harold Alexander che scrisse al Primo Ministro Clement Atlee, tra i passaggi della missiva si legge: “As his old opponent on the battlefield… I have no complaints against him. Kesselring and his soldiers fought against us hard but clean”, cioè “Quale suo vecchio avversario sul campo di battaglia… non ho lamentele contro di lui. Kesselring e i suoi soldati hanno combattuto contro di noi duramente ma in modo pulito”. Anche nelle sue memorie, pubblicate nel 1961, scrive: “dimostrò grande abilità nell’uscire dalle situazioni disperate in cui la sua intelligenza fallace lo aveva condotto”. Pure il generale Sir Oliver Leese, comandante dell’Ottava Armata Britannica in Italia considerò il feldmaresciallo “Un soldato estremamente coraggioso che aveva combattuto le sue battaglie in modo leale e onesto”. L’esito del processo a Kesselring si collocò infatti in un contesto internazionale già segnato dalle prime avvisaglie della guerra fredda…Nel contesto internazionale che si andava delineando, con lo scontro fra il blocco occidentale e quello sovietico, la parte di Germania occupata da Regno Unito, Usa e Francia, che sarebbe diventata poi la Repubblica federale tedesca, era un tassello troppo importante dello schieramento filo occidentale per sottoporla a penosi e laceranti esami di coscienza sulla guerra da poco conclusa: Churchill poteva così domandare retoricamente se simili processi non avessero ormai perso “any usefulness it may have had”, e sottolineare come la condanna fosse “matter of public policy”. La mobilitazione a favore di Kesselring ottenne il risultato voluto…Il 29 giugno 1947 il generale Harding, conformemente al nuovo orientamento politico delle autorità britanniche, commutò in ergastolo la sentenza di morte per i tre alti ufficiali tedeschi, con una serie di argomentazioni che non solo dimostrano le difficoltà politiche del momento, ma anche evidenziano i limiti di cultura giuridica degli stessi alleati nell’affrontare processi che presupponevano un’elaborazione del diritto penale internazionale che era appena all’inizio.” (Atti Parlamentari, pag. 465, Camera Deputati, Senato Repubblica XIV Legislatura, discussioni crimini nazifascisti, seduta del 24 gennaio 2006). La condanna alla pena capitale per il feldmaresciallo fu presto commutata in ergastolo e venne recluso in Germania; nel 1948 la pena si ridusse a 21 anni di carcere, nel 1952 Albert Kesselring venne rimesso in libertà. Nel cimitero di Casaglia, frazione di Marzabotto, fra le tante tombe di persone perite nella strage si legge su una lapide: La nostra pietà per loro significhi che tutti gli uomini e le donne sappiano vigilare perché mai più il nazifascismo risorga.