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Si arrivò intorno alle tre di pomeriggio in sella ad una Benelli 125 2C Sport, non ci eravamo nemmeno resi conto del posto di blocco militare all’ingresso e rischiammo veramente di essere fermati in maniera maldestra. Dicemmo  che era la prima volta (vero) che arrivavamo in aeroporto e desideravamo visitarlo, ci fecero passare e ci indicarono le due strade quella che portava alla zona militare e quella che portava alla zona civile.  Da allora è iniziato questo rapporto meraviglioso con l’aeroporto, che allora si denominava di Pontecagnano, prima ancora di Montecorvino, così come in tutti i report della Seconda Guerra Mondiale, Montecorvino Airfield, ed ora Salerno-Costa d’Amalfi.  Tanti ricordi,  tanti momenti straordinari: il grande Nicola Romano titolare dell’Aerocentro Mediterraneo, che con molta pazienza ci ospitava, ci lasciava guardare gli aerei, i decolli, gli atterraggi, ascoltare i discorsi dei piloti, i briefing e i debriefing, insomma le chiacchiere eleganti che si facevano prima di decollare e dopo l’atterraggio; capire le mappe, assistere alle principali operazioni di manutenzione degli aeromobili. Entusiasmante era anche l’area militare, che allora era sede del 20° Gruppo Squadroni A.L.E. Andromeda, Aviazione Leggera dell’Esercito, oltre che del 4° Nucleo Elicotteri dei Vigili del Fuoco, e del 7° Nucleo Elicotteri dei Carabinieri. Andare in aeroporto non era recarsi in un luogo, era entrare in un mondo, un mondo che ci portava lontano, ci portava anche a sognare e che, vivendo le gesta dei piloti, ci permetteva andare oltre, di “volare” con la nostra fantasia. Era davvero un nuovo sistema di relazioni a sé,  quando ci si incontrava si respirava anche una serena galanteria, forse un po’ ostentata ma sempre autentica,  fra di noi c’era la passione comune per gli aerei, per il volo, e ciò faceva sì che tutti fossero compresi, apprezzati, accettati, accolti, anche colui  che si incontrava per la prima volta. Un vero e proprio sistema di inclusione. Ciascuno di noi giovani vedeva i piloti un poco come degli eroi, sognava di imitarne le gesta nei voli brevi o lunghi, e sognava, ovviamente, di diventare un giorno pilota. Il primo passo era quello di prendere il brevetto da “pilota privato”,  prima dell’euro costava 5 milioni di lire,  e quanti calcoli  nella nostra mente, quante matite e fogli di carta presi dopo la pizza ogni sera per inventarsi come racimolare quella somma per prendere il “brevetto”.  E lì giù tante figure nei nostri ricordi, molte delle quali ora sono di compianta e cara memoria. Il Comandante Marchesi, che con il suo Piper PA 18,  per conto della Regione Campania, decollava in estate per la campagna antincendio, sorvolava il territorio alla ricerca di focolai e con i potenti altoparlanti montati sopra il biposto americano rimproverava anche dall’alto chi stesse per appiccare un fuoco o un incendio, con l’osservatore sul sedile posteriore che era del Corpo Forestale dello Stato. Il tenente colonnello Luigi Orsi, comandante del Gruppo Squadroni Andromeda dell’Esercito, personaggio mitico, che aveva guidato il reparto anche durante i drammatici eventi del sisma del 1980, salvando tante vite umane e ricevendo decorazioni al merito. Vi era una vera e propria leggenda su di lui, si diceva che per le missioni più rischiose e pericolose preferisse decollare di persona ai comandi dell’elicottero.  Quando lo incontrammo per la prima volta ci accolse  come un padre, si affezionò poi a noi giovani entusiasti del volo, e nelle nostre visite mostrava gli aerei e gli elicotteri, raccontandocene le storie, come quelle degli Agusta-Bell AB204 che avevano partecipato alle prime missioni di pace in Libano, sotto le insegne dell’ONU, e che portavano ancora  i segni dei proiettili che li avevano colpiti, con le relative toppe messe a riparazione. Quando non poteva di persona accompagnarci ci affidava alla premura di altri membri del reparto, e lì incontrammo l’allora sergente maggiore pilota Maurizio Fontanesi, oggi Luogotenente a riposo plurinsignito, ciò che sappiamo lo dobbiamo buona parte anche a lui, con me e Giuseppe Glielmi, fraterno compagno di tutte le avventure aeree e di vita, per tutti Peppe,  ne nacque una profonda e sincera amicizia, che niente e nessuno potrà mai cancellare.  L’aeroporto era una seconda casa per noi così, appena divenuto docente guidai i miei alunni alla visita presso il 20° Gruppo dell’Esercito, il tenente colonnello Orsi,  come sempre, ci accolse con grande affabilità e gentilezza,  insieme al tenente Vincenzo Carusi Abbamonte, che insieme al comandante ci aveva preso sotto la sua egida, con la sua incomparabile finezza ed il cui pregiato ricordo ci accompagna ancor ora. Insieme ad alunni e docenti visitammo il reparto, la linea di volo anche con gli unici aerei SIAI-Marchetti  SM-1019, il settore manutenzione, la torre di controllo, terminando con la visita alla Cappella dedicata alla Madonna di Loreto, protettrice di tutti i viaggiatori per cielo, insieme pregammo.  Tutto impresso nella memoria, fotogramma per fotogramma, così come l’incontro per la prima volta con il tenente colonnello Carmine Calò, la gentilezza,  la disponibilità nei nostri confronti fu straordinaria, restammo colpiti. Partì per l’ultima volta per una missione di pace in Afghanistan,  che lo vide cadere eroicamente quando era Consigliere  militare del rappresentante speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite UNSMA (United Nations Special Mission Afghanistan), dopo un agguato da parte di una banda di ribelli. Raggiunto da colpi di armi da fuoco, riuscì a controllare l’auto cui era alla guida e ad impedire che sbattesse violentemente, evitando danni gravi per il passeggero.  Medaglia d’Oro al Valor Militare, di lui la memoria è cara e il ricordo prezioso. La rivalità era forte ma sempre serena, mai sgarbata, tra l’Aeroclub Salerno e  l’Aerocentro Mediterraneo, noi frequentavamo entrambi i sodalizi e lì ricevevamo solo accoglienza. Consigli, pazienza nel trattamento di noi ragazzi che volevamo guardare, ascoltare, imparare. Indimenticabili i tanti gatti della signora Antonia che noi accarezzavamo e dei quali eravamo diventati amici, ne ricordo ancora il nome di uno, Elica, così come indimenticabili la pazienza, la finezza, l’accoglienza di Nicola Romano e della moglie ovviamente, arrivavamo a tutte le ore e a tutte le ore c’era una parola per noi, avidi di informazioni. Lo stesso accadeva presso l’Aeroclub, il presidente Dott. Gaetano Petrone era sempre prodigo di consigli e spiegazioni, ci raccontava dei suoi tanti voli e delle sua vicende d’imprenditore, anche in terra cubana, di come “saliva” il PZL Wilga e del mitico Antonov An2, una vita per l’aviazione. Lì  conoscemmo uno dei più esperti piloti civili del salernitano, Luigi Belmonte,  conosciuto come Gigi, si collaborava con lui nelle faccende di ordinaria manutenzione dell’ hangar, riassettare, riporre qualche sedia a posto, aspettare che giungesse qualcuno quando tutti erano in volo, lo facevamo con piacere, anche in qualità di soci, poi, qualche volta, si andava a pranzo nell’ottimo ristorantino della scuola paracadutismo, pennette alla sorrentina per tutti, spesso offriva, quale grande signore, Gigi .  Quando avevamo qualche soldino si andava in volo, e c’era il pilota di turno che ci portava in cielo per accumulare qualche ora di volo. Si decollava con il Cessna 172, con il  Cessna 150, con il Partenavia P66 Charlie, con l’America Champion Citabria-7,  con il Morane Saunier MS 880 pilotato dal comandante Quaglia. Quando iniziavano le lezioni nella scuola di volo non invidiavamo mai coloro che vi potevano partecipare, ma anzi  li ammiravamo e sognavamo un giorno di poter essere al loro posto. Quando arrivavano degli aerei o degli elicotteri particolari eravamo lì ad ammirare i mastodontici elicotteri birotori Boeing CH-47 dell’Esercito Italiano, le esercitazioni di atterraggio degli elicotteri dei Marines  Sikorsky CH 53  e  Boeing CH46, che nelle loro irruenti manovre facevano volare per aria i “cinesini”,  cioè quei coni segnaletici che delimitavano le varie zone dell’Aeroporto, con sommo disappunto di Nicola Romano.  Era tutto come all’inizio,  come ai primi voli, la pista era in erba, e tutto sembrava essere epico, mitico, leggendario, e forse lo era. Aspettavamo d’estate l’atterraggio dell’elicottero  Aerospatiale SA 315 Lama  del servizio antincendio, e poi dell’AS 350 Ecureil. Andavamo ad ammirare i lanci dei paracadutisti della scuola guidata dal Sig. Mario Tedesco, una vera istituzione nel suo campo, tutto era uno spettacolo, anche gli splendidi aeroplani Pilatus PC-6 e Cessna 182 così, per la prima, e si spera ultima volta in vita nostra, assistemmo ad un mayday, per uno spegnimento motore proprio del Cessna 182, conclusosi felicemente con un impeccabile atterraggio grazie alla maestria del pilota, un vero asso. Con coraggio ci presentammo presso il 7° Nucleo Elicotteri dei Carabinieri,  e fummo ricevuti dal comandante, capitano Maurizio Pozza,  un uomo da altri tempi, sembrava appena uscito da una scuola di volo insieme a Francesco Baracca, elegante nei toni e nei modi, fumando le sue sigarette Kent, capì subito il nostro timore ma anche la nostra passione.  Ci disse che non avremmo potuto visitare l’hangar, a meno che non avessimo fatto giuramento sulla bandiera e così fu, ci portò a vedere i numerosi elicotteri, vi erano molti Agusta-Bell 47G (la libellula) e 47J pronti ad essere radiati e vi erano gli AB 206 Jet Ranger e un nuovissimo Agusta A109. Non lo sapevamo, ma ci trovavamo in uno degli hangar realizzati da Pier Luigi Nervi, nato nel 1891, celeberrimo ingegnere, progettista di hangar oggi restaurati e visitati, collaboratore dei più grandi architetti dell’epoca, tra i quali Le Corbusier e Louis Kahn. I Vigili del Fuoco erano collocati nella parte centrale dell’aeroporto, si potevano ammirare i decolli dell’Agusta AB206 e dell’Agusta-Bel 204, poi dell’ Agusta AB412, che noi ammiravamo a bocca aperta. Chissà, pensavamo, chi andrà a salvare questa volta l’equipaggio, dove andrà ad operare l’elicottero che sta decollando, quale sarà la sua missione.  L’ultima missione, eroica,  fu anche quella del maggiore Walter Sorella, immolatosi nel tentativo di soccorrere persone gravemente ferite in un incidente sulla SA-RC poco prima di Fratte: “Il 36enne ufficiale pilota, in possesso di un bagaglio tecnico formidabile, persona disponibile e altruista, ha suggellato con un atto eroico e generoso la sua carriera di casco rosso al servizio della gente. E’ caduto il 7 luglio 1986, mentre col suo elicottero I-VFAQ tentava di soccorrere un automobilista gravemente ferito. La notizia di una vita agonizzante, il sordo richiamo di aiuto che può essere percepito solo da chi possiede una sensibilità non comune, hanno fatto decidere il comandante Sorella ad intervenire sfidando  condizioni meteorologiche proibitive. Una tempesta di pioggia e vento ha messo il valoroso vigile nella impossibilità di governare il suo elicottero, finito contro un elettrodotto. Walter Sorella ha lasciato al suo nucleo una messe di idee e progetti miranti ad allargare la rete d’intervento. Dal 7 settembre ’86 una delle elisuperfici da lui individuate per poter fungere da zona di decollo e atterraggio delle ali rotanti impegnate in missioni di soccorso, realizzate dal comune di  Camerota, in provincia di Salerno, porta il suo nome” (Sorrentino Eugenio, Aviazione Generale Civile e Militare in Campania, Cuzzola Editore, Salerno, 1987). Altri sono partiti senza ritornare in questi ultimi 40 anni, come i due piloti dell’Aviazione Leggera dell’Esercito precipitati con il loro SIAI-Marchetti 1019 proprio nell’area dell’aeroporto, il 7 settembre 1984, e l’allora sergente maggiore Maurizio Fontanesi fu il primo a giungere con il suo elicottero per i soccorsi, ed i tre paracadutisti, mai le loro ali spezzate, la loro passione, il loro caro ricordo cadranno nell’oblio, così come per tutte le persone citate in questo articolo che sono partite per l’ultimo volo. Sono stato l’ultima volta in aeroporto circa dieci anni prima del periodo covid, ho volato con il Cessna 152 dell’AerialBanners, esperienza unica, bravo davvero il pilota. Alla fine di ogni disquisizione, più o meno impegnata, più o meno seria, sulle vicende legate all’aeroporto, si finiva con l’interrogativo  “ma decollerà mai l’aeroporto?”. Era un paradosso, nel senso filosofico del termine, dal greco parà, contro, e doxa, opinione, cioè un’affermazione o un ragionamento che contrasti con tutto ciò che è ritenuto ovvio, l’aeroporto di per sé è deputato a far decollare, perché allora non avrebbe dovuto decollare?  E quindi auguri, aeroporto, per il tuo “decollo” e grazie a tutti coloro che si sono spesi affinché ciò avvenisse, a loro è dedicato questo pensiero di  Antoine de Saint-Exupèry, che era solito anche affermare “l’aeroplano ci ha svelato il vero volto della Terra”, e della cui scomparsa tra pochi giorni celebreremo l’ottantesimo anniversario: Che si tratti di una casa, delle stelle o del deserto, quello che fa la loro bellezza è invisibile.

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