E’ scientificamente testato che la squadra che vince il Mondiale, quattro anni più tardi è come se venisse colpita da una maledizione che gli porta all’eliminazione diretta dalla fase a gironi, ad una marea di polemiche e a tanti altri inconvenienti di percorso che spesso e volentieri mettono spalle al muro la singola federazione. Prima la Francia nel 2002 dopo la vittoria nel 1998, poi è toccato anche a noi con la cocente e incommentabile eliminazione ai mondiali sudafricani del 2010, e nel 2014 alla Spagna che negli anni precedenti era davvero una macchina perfetta tra calcio spettacolo e calciatori di grande qualità.
Nel 2014, infatti, il calcio spagnolo incassò un clamoroso pugno nello stomaco, ma è giusto ricordare prima il meraviglioso ciclo aperto da Luis Aragonés nel 2008 e concluso proprio nel 2014 con Vicente Del Bosque. Sotto la loro guida, la Spagna ha vinto praticamente tutto (2 Europei e 1 Mondiale) dominando tutto e tutti a suon di grande calcio, innovativo, bellissimo e che oggi viene interpretato quasi similarmente solamente da Pep Guardiola. Perché alla fine dietro i successi e la rinascita del movimento calcistico spagnolo c’è anche la sua mano, decisiva e coraggiosa nella sua fruttuosa esperienza a Barcellona prima nella famosa Cantera e poi in prima squadra dove avvennero i lanci di giovani emergenti come Busquets e Pedro, e alla definitiva consacrazione di due grandi campioni come Xavi e Iniesta.
Quella nazionale è stata capace di aprire all’Europeo del 2008 un cerchio che si è chiuso dopo il 4-0 all’Italia, con la conquista della seconda rassegna continentale consecutiva inframmezzata da un Mondiale. Finora nessuno c’era riuscito. Superata anche la grande Germania degli Anni 70, vincitrice dell’Europeo del 1972, del Mondiale 1974 contro l’Olanda di Cruyff e Neeskens e finalista all’Europeo 1976, perso con la Cecoslovacchia ai rigori. Prima del 2008, la Spagna aveva vinto solo un campionato europeo nel 1964, disputato in casa. Era la squadra di Suarez e Gento, degli eroi della finale Pereda e Marcelino. Aragonés aveva preso in mano la nazionale dopo la sfortunata uscita al primo turno a Euro 2004, e i risultati furono eccezionali.
Il successore di Inaki Saez si ritrova una squadra giovane, con tanti giocatori di qualità che per anni hanno formato l’ossatura della squadra. Concetti come il possesso palla, l’attacco dello spazio con gli inserimenti da dietro sono presenti ma meno rilevanti rispetto ad oggi, perché quella Spagna gioca con due grandi attaccanti, David Villa e un Fernando Torres reduce da 24 gol nella Liga con l’Atletico Madrid e lontano dagli infortuni che lo hanno un po’ ridimensionato. Il modulo di base è il 4-4-2, col naturalizzato Marcos Senna insieme a Xavi in mezzo, Iniesta e Silva tendenzialmente esterni. Ramos fa il terzino in una difesa completata da Marchena, Puyol e Capdevila. Gente come Fabregas e Xabi Alonso parte spesso dalla panchina, per darvi un’idea. Dopo il 4-1 iniziale alla Russia, arrivano due vittorie per 2-1 contro Svezia e Grecia. Primo posto nel girone a punteggio pieno. Ma chissà come sarebbe andata se in quel 22 giugno De Rossi e Di Natale non avessero sbagliato i loro rigori. L’Italia di Roberto Donadoni tiene bene il campo nei 120′ regolamentari di quel quarto di finale, chiusi sullo 0-0. Anzi, è proprio Casillas l’eroe: prima di parare i due penalty, si supera su una girata di testa di Di Natale nei supplementari. La Spagna, passato lo scoglio Italia, travolge ancora la Russia, stavolta per 3-0, e va in finale con la Germania senza Villa, uscito infortunato in semifinale. Ci pensa un grande Torres, unica punta in campo per Aragonés. El Nino dopo aver colpito un palo, lanciato da Xavi anticipa Lehmann in uscita e infila con un tocco di destro in diagonale.
Dopo il trionfo agli europei, Aragonés lascia la panchina a Vicente Del Bosque. La partecipazione alla Confederation Cup del 2009, prima in assoluto, si chiude con una sconfitta in semfinale con gli USA abbastanza clamorosa. Poco male. La qualificazione a Sudafrica 2010 arriva vincendo tutte le partite del gruppo 5. Sull’ossatura della formazione campione d’Europa entra un campione, Piqué, e altri giocatori di livello come Busquets, Pedro, Jesus Navas e Llorente. Il girone con Svizzera, Cile e Honduras, parte nel peggiore dei modi. Lo svizzero Gelson Fernandes interrompe una serie di 12 successi consecutivi della Spagna. Stupisce la Svizzera, che concede solo una traversa a Xabi Alonso. David Villa, eroe di quel Mondiale, sistema le cose con una doppietta all’Honduras, poi la qualificazione arriva col 2-1 sul Cile, firmato Villa e Iniesta. I maestri del possesso palla trovano poi nella seconda fase due armi decisive: una solidità difensiva pazzesca con Piqué accanto a Puyol e il solito David Villa. Arrivano quattro 1-0 consecutivi: Villa fa tornare a casa Portogallo e Paraguay, poi Puyol decide la semifinale con la Germania. La finale è molto equilibrata: Sneijder manda in porta Robben che sbaglia a tu per tu con Casillas. E allora nei supplementari ci pensa Iniesta, ancora una volta uomo della provvidenza dopo il goal contro il Chelsea nella semifinale di Champions League inflitto dal suo Barcellona.
Dopo questi trionfi, c’era il timore che i calciatori sarebbero arrivati ad Euro 2012 con la famosa “pancia piena”, ma in realtà non fu così. Mancano due pezzi da novanta come Villa e Puyol. Jordi Alba, nuovo acquisto del Barça, è l’innesto più rilevante. Del Bosque spesso gioca senza punta, adattando Fabregas centravanti, una scelta già testata con successo da Guardiola a Barcellona. Accentuando la tendenza al possesso palla, il gioco passa spesso per vie centrali, tranne quando entrano Pedro o Navas che spruzzano dinamicità spesso devastante sulle fascie. Alcuni uomini (Xavi su tutti) appaiono comprensibilmente scarichi. Sembra che ci siano poche varianti di gioco contro squadre chiuse. Con la Croazia, nella partita del mancato pari che poteva eliminarci, è decisivo Casillas levando dalla porta il colpo di testa di Rakitic. L’Italia se l’era giocata alla pari nella prima partita, molto prima che la Roja battesse 2-0 nei quarti una Francia modesta e eliminasse il Portogallo di Cristiano Ronaldo in semifinale solo dopo i rigori. Spagna battibile? Si diceva così prima di quella sera. Il verdetto del campo è stato impietoso per l’Italia. Secco 4-0 e titolo in mano agli spagnoli. Una mazzata che non rende merito al grande torneo dell’Italia di Prandelli che si era inchinata a una squadra leggendaria. Dopo quella sera, i 23 convocati a Euro 2012 sommarono 233 trofei vinti. Spettacolo puro.
Due anni più tardi, ecco il tanto pronosticato calo spagnolo. Brasile 2014, la Spagna torna a disputare un Mondiale quattro anni dopo la prima storica vittoria. Qualche scricchiolio si era già intravisto nella Confederations Cup del 2013 dove gli spagnoli, pur non disputando una grande manifestazione, arrivarono in finale contro i padroni di casa del Brasile che gli inflissero un pesante 3-0 costringendo la Spagna a cadere per la prima volta dopo 29 partite. Al Mondiale 2014 la squadra di Del Bosque fu inserita nel girone B con Olanda, Cile e Australia. Perse sonoramente (5-1) contro gli olandesi, poi subì una nuova sconfitta, questa volta contro il Cile, per 2-0. Ne conseguì una matematica eliminazione dal mondiale già al primo turno. Ininfluente fu la vittoria per 3-0 all’ultima gara contro l’Australia. La nazionale spagnola entrò così nella poco onorevole lista degli eliminati al primo turno da campioni del mondo uscenti con Italia (campione nel 2006 ed eliminata nel primo turno nel 2010) e Francia (campione nel 1998 ed eliminata nel primo turno nel 2002).
C’è però da raccontare qualche aneddoto particolare riguardante la partita contro l’Olanda. Gli olandesi di Van Gaal erano una squadra perfettamente mixata tra esperienza e gioventù, come ad esempio la coppia centrale 22enne composta da De Vrij e Martins Indi. Diciamo che avrebbe meritato anche di vincere quel Mondiale, ma come la storia insegna l’Olanda non ha una grande tradizione con le finali. Quella squadra, però, inflisse alla Spagna la seconda sconfitta più pesante della storia dopo quella della Scozia nel lontano 1963 (6-2), e Del Bosque, precisamente al 3:39 di recupero, si alza dalla panchina, rincuora uno ad uno i propri giocatori seduti al suo fianco come per testimoniare che quel meraviglioso ciclo sia per lui che per loro era praticamente finito. Una scena toccante che rivista significa veramente tanto.
Il Mondiale non ti lascia spazio per piangere, devi reagire subito, anche dopo che una squadra in una partita ti demolisce infliggendoti così tanti goal che messi insieme non li avevi subiti nemmeno al Mondiale e all’Europeo vinto. Nessuna squadra campione in carica era mai stata eliminata con ancora una partita da giocare nella fase a gironi di un Mondiale. La statistica già da sola fa parecchio rumore. Figuriamoci poi se a dire addio a Brasile 2014 è la Spagna. La squadra campione di tutto. Un gruppo di campioni che non si è limitato a vincere due europei consecutivi con un incastonata in mezzo la perla del Mondiale 2010. La generazione degli Xavi, degli Iniesta, dei Casillas, dei Ramos, dei Torres, dei Piqué ha superato anche la grande Germania degli Anni 70, vincitrice dell’Europeo del 1972, del Mondiale 1974 e finalista all’Europeo 1976. Ma questa squadra ha segnato il terzo millennio del calcio, di pari passo con il Barcellona, non solo coi trofei. Ma con un gioco unico, il “Tiki-Taka“, amato e odiato, ma di certo ammirato. Perché per farlo ci vogliono i fuoriclasse, senza se e senza ma.
Ancora oggi, il 18 giugno 2014 viene ricordato come il giorno che ha segnato la fine di tutto. Anche l’abdicazione di Re Juan Carlos, che dopo 39 anni ha lasciato il trono al figlio Felipe, rischia di passare in secondo piano. Quella Spagna era diventata improvvisamente prevedibile. Stanca nella testa e nelle gambe. Con il suo simbolo Xavi a testa bassa in panchina nella partita decisiva, e con qualche contraddizione di troppo, come quel Diego Costa strappato al Brasile e inserito in un sistema che non era il suo e che ha deluso dopo una stagione da fenomeno.