Correva l’anno 1974, nello sviluppo economico l’Italia risulta l’unica nazione rimasta a piedi, nel vero senso della parola: una multa da un milione di lire attende qualunque mezzo privato in circolazione. Bandite anche le grandi insegne luminose, programmi televisivi in off dopo le 22.45, cinema chiusi dopo le 22. Erano gli anni di piombo e sembrava di essere ricaduti nell’oscurità del periodo bellico. Lungi dal liberarsi presto da questo velo nero, Agnelli annuncia che probabilmente dovremo abituarci a conviverci e, nel frattempo, in molti si chiedono se il 2 ottobre la FIAT riaprirà i battenti.
Il 1974 inizia, insomma, con l’odore nell’aria di un golpe. È l’anno del rapimento del giudice Sossi ad opera della Brigate Rosse e della strage dell’Italicus rivendicata da Ordine Nero. In quest’anno tanto tormentato, Indro Montanelli, giornalista già noto per il suo stile incisivo, indipendente e controcorrente, in fuga dal “Corriere della Sera” dopo la sua virata a sinistra ad opera dell’ultima erede della famiglia Crespi, nuova penna de “La Stampa” grazie a Gianni Agnelli, decide di fondare un quotidiano tutto suo. Montanelli non è solo, ma sostenuto da molti e validi colleghi che, come lui, non condividevano le censure del tempo. Parliamo di giornalisti del calibro di Enzo Bettiza, Egisto Corradi, Guido Piovene, Cesare Zappulli ed intellettuali europei come Raymond Aron, Eugène Ionesco, Jean – François Reval. L’obiettivo era fornire ai lettori un’informazione accurata, equilibrata e, soprattutto, coraggiosa.
Il Giornale nasce in un periodo di grande fermento politico e sociale in Italia, caratterizzato dalle tensioni della Guerra Fredda. In questo contesto, Montanelli vuole offrire un punto di vista che non sia subordinato né ai partiti politici, né ai poteri economici. Montanelli trova in Eugenio Cefis il suo finanziatore che, per i primi tre anni, stanzia 12 miliardi di lire. Per l’editore la situazione si fa più complessa, Rizzoli rifiuta anche l’offerta gratuita, prova con altri fra i quali Mondadori, ma tutti buchi nell’acqua. A questo punto arriva l’idea geniale di Cefis: una cooperativa dove i giornalisti sarebbero stati anche i proprietari e Cefis avrebbe fornito il carbone per la traversata. “Il Giornale” è pronto a spiccare il volo e Montanelli lo annuncia nel suo ultimo articolo per “La Stampa” del 21 aprile 1974. Con 59 giornalisti e sei uscite settimanali, per contenere i costi, il primo numero vede la luce il 25 giugno 1974. Montanelli dà una forte impronta borghese alla sua creatura, “il Giornale” era una testata dedicata alle forze produttive della società, interlocutore esterno alla politica, non schierato, ma tendenzialmente, di destra. Indro desiderava, infatti, un giornale liberale e conservatore ma, soprattutto, indipendente rispetto alla politica. Ai nomi già citati presto se ne aggiungono molti altri ugualmente celebri come Mario Cervi, Rosario Romeo, Renzo De Felice, Sergio Riscossa, Vittorio Mathieu, Nicola Mattucci, Gianni Brera, i corrispondenti esteri Vittorio Dan Segre e François Fejtő. Montanelli riesce a circondarsi dei migliori in circolazione, ben consapevole che solo con una squadra vincente le idee possono trasformarsi in progetti concreti.
Il suo quotidiano fu il primo italiano ad avere un’impostazione statunitense, ogni articolo doveva poter essere letto e compreso da chiunque, adottando la filosofia di Joseph Pulitzer “esprimi il tuo pensiero in modo conciso perché sia letto, in modo chiaro perché sia capito, in modo pittoresco perché sia ricordato e, soprattutto, in modo esatto perché i lettori siano guidati dalla sua luce.” Ma in cosa, strutturalmente, “il Giornale” era davvero diverso? Tutti gli articoli in prima pagina erano completi, senza rimandare alle pagine interne, un’intera pagina veniva dedicata alla corrispondenza del direttore – La parola ai lettori – alla quale Montanelli rispondeva in prima persona, perché nessuno è più importante di un fedele lettore e lui ne era ben consapevole; tutti gli introiti degli annunci funebri venivano devoluti in beneficenza agli enti scelti dagli stessi inserzionisti. Ma le novità più importanti erano gli articoli pungenti curati da Montanelli o da altri redattori, sparsi in tutto il giornale, come “controcorrente” nel taglio basso, “agopuntura” o “puntasecca”, pezzi ironici dallo stile unico ed accattivante. Inutile dire che le vendite schizzarono subito alle stelle e, dopo un iniziale picco di interesse e curiosità, le vendite si stabilizzarono intorno alle 150.000 copie. “Il Giornale” riuscì a imporsi sul mercato senza rubare lettori a quotidiani come “il Corriere della Sera”, del resto avevano due stili profondamente opposti, ma conquistandosi la propria fetta di mercato. Assurdamente solo a Milano, sua città natale, non ebbe successo: Nemo propheta in patria.
In un’Italia che schedava tutti quelli che non erano di sinistra come fascisti, Indro ebbe il coraggio di posizionarsi a destra, sottolineando con il suo lavoro l’importanza della libertà di pensiero. Montanelli, precursore dei tempi, comprese che per acquisire lettori non doveva vendere un quotidiano, come facevano tutti, no! Lui doveva vendere un’esperienza, un ideale, facendo sentire il lettore parte di un qualcosa più grande di lui, di un qualcosa capace di comprenderlo, ascoltarlo: il lettore voleva essere visto. “Il Giornale” non si limitava a raccontare ma a fare, tant’è che nel maggio del ’76, per il terremoto del Friuli, grazie ai suoi lettori attivi, raccoglie più di 3 miliardi di lire, superando qualsiasi altro quotidiano. Nel giugno dello stesso anno ideò una propria campagna elettorale con lo slogan “turiamoci il naso e votiamo DC”, vincendo le elezioni.
Quell’anno raggiunse la stupefacente media di 220.000 copie vendute al giorno ma, poco dopo, Montanelli venne colpito alle gambe dalle Brigate Rosse. Passano gli anni, i finanziamenti di Cefis scadono e, nel ’79, un giovane imprenditore decide di appianare i debiti del quotidiano: Silvio Berlusconi. “Il Giornale” torna in carreggiata e nell’82 si piazza all’ottavo posto fra i quotidiani più letti dello stivale. Durante il pentapartito decide di non schierarsi né con la DC né tanto meno con Craxi, questo fa calare drasticamente le vendite, Berlusconi ne approfitta per infilare un piede nella porta, diventando l’azionista di maggioranza. Fu con tangentopoli che “Il Giornale” toccò i minimi storici nelle vendite. Di nuovo Indro decide di non schierarsi, preferendo arbitrare la sanguinosa partita con una cronaca spietata, capace spesso di anticipare le mosse dei magistrati. Non tutti i lettori compresero questa scelta e molti lo abbandonarono. Anche i rapporti con Berlusconi si incrinano, giunge infatti l’annuncio dell’esistenza di Forza Italia e Montanelli si rifiuta di prestare il suo giornale alla propaganda politica del Cavaliere, rimanendo fedele ai suoi ideali.
La direzione di Indro, però, era agli sgoccioli, aveva creato Il Giornale per sentirsi libero ma, dopo circa vent’anni, si sentiva nuovamente braccato. Silvio si rifiutava di vendergli le sue quote, Sgarbi lo attaccava durante i suoi programmi e, con lui, anche Emilio Fede: l’11 gennaio 1994 Montanelli lascia la sua creatura e, con lui, vanno via 55 redattori. Dopo questo doloroso addio, la sua poltrona passa a Feltri, ma Montanelli non sparisce in una nuvola di fumo, bensì denuncia Il Giornale. La testata perde in tribunale ed è costretta a sborsare ben due miliardi del vecchio conio. Feltri abbandona la nave e passa il timone a Cervi, che in realtà entra in sala di comando con 250.000 copie vendute al giorno, uno dei numeri più alti mai raggiunti. Fu proprio con Cervi che, a sette anni di distanza, la penna di Montanelli sfiora di nuovo la carta del giornale, un’apparizione unica che non si ripeterà mai più nel corso della storia. Dagli anni ’90 al 2024 molti altri hanno occupato quella poltrona e oggi “Il Giornale”, diretto da Alessandro Sallusti, compie mezzo secolo, cinquant’anni di storia del giornalismo, della politica, della società, in una parola: dell’Italia.
In questi cinque decenni ha saputo ritagliarsi uno spazio importante nel panorama mediatico italiano. Ha contribuito a formare l’opinione pubblica su temi cruciali e ha spesso rappresentato una voce fuori dal coro, non esitando a criticare sia la destra, che la sinistra, quando necessario. Questo approccio ha reso Il Giornale un punto di riferimento per molti lettori che cercano un’informazione indipendente e analitica. Celebrando questo anniversario è inevitabile guardare al futuro del giornalismo e della comunicazione. In un’epoca in cui i media tradizionali affrontano sfide senza precedenti a causa della digitalizzazione e dei cambiamenti nelle abitudini dei lettori, la sfida sarà continuare ad offrire un giornalismo di qualità in un mondo sempre più interconnesso e in rapido cambiamento. Il Giornale, con la sua ricca eredità e il suo impegno verso un’informazione libera e coraggiosa, celebra oggi non solo un anniversario, ma un percorso fatto di passione, professionalità e dedizione al giornalismo, rappresentando un faro per tutti coloro che credono nel potere della parola e della verità.