Attaccata alle sue radici, fedelissima alle proprie tradizioni e con quel pizzico in più di superiorità rispetto agli altri paesi in quanto a sviluppo generale, soprattutto tecnologico. La Cina ha una lunga storia, che risale a migliaia di anni fa. Per oltre 3000 anni, il paese è stato sotto le dinastie degli imperatori. All’inizio del 1200, i mongoli, guidati da Gengis Khan, occuparono il paese e Kublai Khan, suo nipote, impose la dinastia Yuan, diventando così la prima popolazione straniera a governare la Cina. Alla metà del 1300, la dinastia Yuan diede origine alla dinastia Ming. Poi, a metà del 1600, le truppe della Manciuria rovesciarono la dinastia Ming per stabilire la dinastia Qing. All’inizio del 1900, il paese uscì dal dominio imperiale e venne così creata la Repubblica Popolare Cinese. Dal 1930 in poi il paese è passato sotto il controllo di un governo comunista. Anche se l’economia sta crescendo moltissimo rispetto al passato, ancora oggi la maggior parte dei cinesi vivono in una condizione di povertà. Infatti, molti lavorano come pastori o contadini. Il PIL (prodotto interno lordo) del paese è il secondo al mondo (dopo gli USA), mentre il PIL pro capite si attesta dopo l’80esima posizione. La Cina è inoltre il maggiore esportatore al mondo (e il secondo importatore), ciò significa che producono moltissimo, ma importano anche molto, soprattutto materie prime, petrolio e beni di consumo.
Le principali colture sono quelle di riso e frumento. Anche la pesca è un settore importante e piuttosto sviluppato. Troviamo, inoltre, ampi giacimenti di carbone, petrolio, piombo, zinco, rame tungsteno e oro. E’ una Cina che, nonostante gli importanti danni compiuti dal Covid-19, è pronta a ripartire confermandosi ancora una volta uno degli stati più potenti al mondo.
Per quanto riguarda altri aspetti come lo sport, in Cina quest’ultimo è molto importante, tanto che viene praticato nel Paese da oltre 4.000 anni. Negli ultimi tempi, però, a causa dell’arrivo di tanti calciatori illustri nel campionato locale, lo sport in Cina viene associato quasi esclusivamente al calcio. In realtà i cinesi praticano tante altre attività, alcune molto comuni, altre più tradizionali, nelle quali eccellono a livello mondiale come il basket, lo snooker, il tennis da tavolo e ovviamente le arti marziali.
Come già accennato, il campionato di calcio cinese ha raggiunto, ultimamente, una popolarità mai vista prima. Il motivo di tale successo è dovuto alla presenza di stelle mondiali, spesso a fine carriera, attirate più dagli stipendi milionari che dal livello delle squadre. Tra i calciatori più famosi, solo per citarne alcuni, troviamo Marek Hamsik, Ezequiel Lavezzi, Carlos Tévez, Hulk e Javier Mascherano. Il valore modesto dei giocatori locali lo si può riscontrare anche dai risultati della nazionale. Nonostante la competitività nel continente non sia paragonabile a quella europea, infatti, non è mai riuscita a vincere la Coppa d’Asia se pur sia stato da sempre un grande obiettivo della Federazione ogni qual volta che assumeva un tecnico europeo di grande esperienza come ad esempio Marcello Lippi. Finora è l’italiano che più si è distinto nel campionato cinese. Con il Guangzhou Evergrande ha vinto 3 campionati, una coppa nazionale e una Champions League asiatica. Dal 2016 ai primi del 2019, pur non riuscendo a farle fare il salto di qualità che ci si aspettava, è stato proprio lui il commissario tecnico della nazionale.
Numeri alla mano, il calcio è seguito da circa un miliardo di telespettatori cinesi ma che la maggior parte degli appassionati guarda il calcio europeo e solo una piccola parte si interessa al campionato nazionale. Il campionato più seguito in Cina risulta essere quello inglese della Premier League. Il valore delle rose della Chinese Super League (CSL) è di molto inferiore rispetto al quelle dei principali campionati europei: 477,45 milioni di euro, contro i 9,04 miliardi di euro della Premier League. Uno dei giocatori più pagati del campionato cinese è stato Ezequiel Lavezzi, con uno stipendio pari a 28 milioni di euro a stagione. Si tratta di salari molto elevati se si considera la bravura dei giocatori: le squadre cinesi tendono a pagare moltissimo i calciatori per convincerli ad abbandonare i campionati più seguiti al mondo, come quelli europei, e tentare l’avventura in Asia. Le squadre della CSL puntano molto sui giocatori europei arrivati ormai alla fine della loro carriera e che in Europa sarebbero considerati troppo vecchi per disputare una buona stagione. Il calciomercato cinese è penalizzato rispetto a quelli delle altre federazioni. Nel 2017 lo stato impose ai club la cosiddetta “luxury tax“, che obbliga le società calcistiche cinesi a pagare una tassa pari al 100 per cento del prezzo del giocatore acquistato. Questa imposta si applica solo agli acquisti superiori ai 6 milioni di euro e serve a tutelare i giovani giocatori cinesi, sempre meno utilizzati dalle squadre della Csl. Qualche esempio? Il brasiliano Paulinho, acquistato dal club cinese Guangzhou nell’estate del 2018: il prezzo del suo cartellino era di 25 milioni di euro, ma a causa della luxury tax la società fu costretta a pagare, oltre ai soldi destinati al club di provenienza del giocatore, anche altri 25 milioni di euro di tasse. Inoltre, il presidente cinese Xi Jinping ha varato un piano di investimenti (costruzione di nuovi impianti sportivi in tutte le grandi città e la rimodernizzazione degli impianti già esistenti) finalizzato ad alzare il livello dei settori giovanili delle squadre della Csl in vista dei Mondiali del 2022 che si disputeranno in Qatar. Tuttavia, oggi la competitività e il tasso tecnico del campionato di calcio cinese resta ancora molto basso se paragonato a quello europeo.
Come già detto in precedenza, la federazione cinese punta molto sulla crescita della propria nazionale di calcio, e l’obiettivo minimo è quello di tornare a disputare un mondiale proprio come fecero gli eroi del 2002. Ma, ovviamente, era un calcio molto diverso rispetto a questo di oggi. Quella era la selezione di Bora Milutinovic, tecnico slavo che venne prontamente promosso dopo gli ottimi risultati ottenuti alla guida della Nigeria nel 1998. La prima competizione ufficiale che vide Milutinovic guidare la nazionale cinese fu la Coppa d’Asia del 2000 in Libano. La Cina concluse il girone al primo posto, e nei quarti di finale liquidò per 3-1 il Qatar, ma, come per l’edizione precedente, è ancora una volta il Giappone a rovinare i piani di gloria della Repubblica Popolare. La nazionale del Sol Levante vinse la semifinale in rimonta per 3-2, per poi trionfare per 1-0 in finale contro l’Arabia Saudita. Ennesima cocente delusione sotto il profilo calcistico, considerando il terzo posto della Cina nel medagliere delle Olimpiadi di Sidney, ma la Chinese Football Association continuò a dare fiducia all’allenatore serbo, convinta del fatto che fosse l’uomo giusto per realizzare il sogno dei mondiali, i primi che si disputarono in Asia.
Con un poco di malizia, è forse corretto sostenere che la Cina abbia centrato la qualificazione al mondiale del 2002 per l’assenza delle due big nei raggruppamenti: Giappone e Corea del Sud avevano l’accesso garantito alla fase finale in quanto paesi ospitanti. Dopo un agevole primo turno concluso a punteggio pieno, la Cina dominò senza affanni il girone finale distaccando di otto lunghezze gli Emirati Arabi Uniti. La qualificazione giunse addirittura con due turni di anticipo nell’1-0 rifilato all’Oman all’Olimpico di Shenyang di fronte a 35mila spettatori. Per la prima volta nella propria storia la squadra guidata da Milutinovic riuscì a spezzare il tabù dei mondiali (episodio che non si è più ripetuto). Si crearono grandissime aspettative per la spedizione in Corea del Sud. Giocatori e allenatori ricevettero ricchi contratti di sponsorizzazione, la febbre mondiale fece piovere denaro nelle casse delle emittenti televisive: per un solo secondo di mini spot durante le partite di cartello la CCTV5 guadagnava 6.000 dollari.
Denaro a parte, per Milutinovic era tempo di stilare la lista dei convocati: si affidò al blocco del Dalian Shide, arricchito dall’esperienza internazionale di Sun Jihai (Manchester City), Fan Zhiyi (Dundee United) e Yang Chen (Eintracht Francoforte). La squadra venne inserita nel gruppo C con Brasile, Costa Rica e Turchia, le intenzioni dell’allenatore erano quelle di guadagnare il secondo posto alle spalle dei vice campioni del mondo visto che le altre due pretendenti non erano poi così superiori sulla carta.
La frenesia del momento fu ben presto smorzata. I media europei non vedevano la Cina come una compagine in grado di conseguire il passaggio del turno. The Observer nel maggio del 2002 tracciò il profilo della rappresentativa asiatica: “Le altre squadre possono intimidirli con la loro reputazione, i giocatori cinesi sono psicologicamente deboli, e potrebbero cedere di fronte un impegno molto più grande di loro. Fra i giocatori nessuno ha mai disputato partite così importanti. Nella lotta al secondo posto la favorita è la Turchia, il loro centrocampo è quello che ha più qualità fra le tre contendenti”. Parole pesanti, decise, ma che in effetti non erano poi così sbagliate.
Il cammino iniziò come peggio non poteva andare: la Cina perse la prima partita per 2-0 contro la Costa Rica. Dopo un primo tempo giocato alla pari, la squadra di Milutinovic calò drasticamente nella ripresa. Il cammino si interruppe con il 4-0 subito per mano del Brasile (che vincerà il suo quinto titolo), per poi perdere anche la terza partita 3-0 contro i turchi (sorprendentemente terminata terza). La spedizione mondiale per la Cina fu catastrofica, tre sconfitte e nessun gol segnato, ma quel che è peggio è il confronto con i rivali asiatici: il Giappone arrivò fino agli ottavi di finale per poi essere eliminato dalla Turchia, mentre la Corea del Sud, con clamorosi aiuti arbitrali contro Italia e Spagna, giunse in semifinale. Il mondiale segnò la fine dell’avventura di Milutinovic, e l’inizio del declino per il calcio cinese dato da continui scandali relativi a combine e scommesse che segnarono il decennio.
Da quella spedizione, la Cina non visse mai più una simile emozione. L’unica vera soddisfazione (se così può essere definita) è stato il secondo posto nella Coppa d’Asia del 2004 disputata proprio tra le mura amiche e persa malamente in rimonta contro un Giappone nettamente superiore che dalla sua aveva gente del calibro di Nakata e Nakamura.
Oggi in panchina siede Li Tie, uno dei calciatori della spedizione del 2002 che dalla sua vanta esperienze in Premier League con Everton e Sheffield United. Il suo compito principale è quello di provare a vincere la Coppa d’Asia e, perché no, provare ancora una volta a centrare la qualificazione ad un mondiale. La squadra è completamente formata da calciatori militanti nel campionato cinese, fatta eccezione per l’attaccante Wu Lei che milita in Spagna con l’Espanyol. E’ inevitabile che buona parte dei risultati dipenda dai suoi goal, ma ovviamente se la squadra non gira non può vincere da solo..