WhatsApp
Facebook

I Nostri Sponsor

di Gerardo Pecci

La tutela deve essere concepita non in senso di passiva protezione, ma in senso attivo, e cioè in funzione della cultura dei cittadini. Deve rendere il patrimonio culturale fruibile da tutti. Se ci riflettiamo più a fondo, la presenza dell’articolo 9 tra i principi fondamentali della nostra Costituzione offre una indicazione importante sulla “missione” della nostra Patria, su un modo di pensare e di vivere al quale vogliamo e dobbiamo essere fedeli. La cultura e il patrimonio culturale devono essere gestiti bene perché siano effettivamente a disposizione di tutti, oggi e domani, per tutte le generazioni. La doverosa economicità della gestione dei beni culturali, la sua efficienza, non sono l’obiettivo della promozione della cultura, ma un mezzo utile per la loro conservazione e diffusione. Lo ha detto chiaramente la Corte Costituzionale in una sentenza del 1986, quando ha indicato la “primarietà del valore estetico-culturale che non può essere subordinato ad altri valori, ivi compresi quelli economici” e anzi indica che la stessa economia si deve ispirare alla cultura, come sigillo della sua italianità e anche, e soprattutto, internazionalità. La promozione della conoscenza, la tutela del patrimonio artistico non sono dunque un’attività “fra altre” per la Repubblica, ma una delle sue missioni più proprie, pubblica e inalienabile per dettato costituzionale e per volontà di una identità millenaria. Ancora una volta il cerchio si chiude con un invito alla tutela, costituzionalmente garantita, ma anche a un doveroso e primario richiamo allo studio della storia dell’arte e alla pratica capillare della catalogazione, considerati come punti imprescindibili dei saperi, delle conoscenze, delle abilità e, infine, delle competenze riguardanti le opere di arte e i beni culturali in generale.

Spesso la stampa, sui quotidiani, attraverso gli schermi televisivi e la radiofonia, ci propina e ci propone un balletto sconclusionato di termini tecnici usati a vanvera e notizie che danno il senso del sensazionalismo e della grande scoperta “del secolo” (che a dir la verità si susseguono con ritmi abbastanza sostenuti) di questo o quel capolavoro del grande artista di grido. Oggi, per esempio, Caravaggio e Van Gogh sono diventate delle “superstar” da cinema, sono artisti ipercelebrati da persone spesso a caccia di una propria celebrità, legando a ben vedere il proprio nome a fatti davvero incresciosi e ridicoli, come il presunto ritrovamento delle ossa di Caravaggio in una fossa comune che raccoglieva resti umani di diversi individui. E la stampa ha la responsabilità morale di aver innalzato tale triste e indecoroso spettacolo, portandolo in primo piano nella cronaca. Verosimilmente, Caravaggio morì per mano di qualche sicario che lo inseguiva fin dalla sua fuga dall’isola di Malta nel luglio del 1610, come ci ha più volte ricordato lo scomparso studioso Vincenzo Pacelli, che ha attribuito paternità certa al “martirio di Sant’Orsola” del grande artista lombardo, che le fonti, forse manipolate da qualche occulta regia, hanno fatto morire di insolazione, solo e abbandonato sulla spiaggia di Porto Ercole. Almeno questo ci dicono i racconti ufficiali. Ma la verità forse non la conosceremo mai.

Altra amenità pseudo-giornalistica è l’aver fatto diventare la storia dell’arte, grazie al massacro dei saperi storici allo scelleratissimo declassamento degli studi umanistici, una prostituta che si concede a tutti, anche a chi non l’ha mai studiata e davvero conosciuta, o solo sfiorata, e pretende di conoscerla. Così il (falso) giornalismo, quello privo di conoscenza, e spesso anche di scrupoli, rincorre la grande ed eccezionale scoperta di un quadro presunto di Leonardo o di Raffaello o di Caravaggio solo perché qualcuno cerca di creare in modo subdolo, fittizio, un momento di celebrità per rincorrere la ricerca del nulla su fatti che si basano sul niente, così il circolo mediatico lo porta immediatamente in trionfo, fino a quando poi sbolle, si sgonfia tutto e precipita il pallone. Ha scritto in modo chiaro lo storico dell’arte Tomaso Montanari, uno specialista serio, che quando «si parla di storia dell’arte tutto è possibile: in Italia il giornalismo storico-artistico è pressoché defunto, ed è ormai talmente abituato a concepire se stesso come il megafono celebrativo dei Grandi Eventi da non essere più in grado di distinguere una notizia da una bufala» (da: La madre dei Caravaggio è sempre incinta, Skira, Ginevra-Milano 2012, p.15). Stiamo assistendo alla mercificazione dell’arte, in cui i beni culturali sono visti come merce da spremere per trarne profitti e non per quello che realmente sono, cioè testimonianze storiche aventi valore di civiltà,e se si parla di essi lo si fa per creare solo sensazionalismi che, in verità, non meritano alcuna riflessione e divulgazione mediatica. Viceversa, nelle nostre chiese, nei grandi e piccoli borghi del nostro territorio, vi sono capolavori d’arte che abbiamo sotto i nostri occhi, ma non li comprendiamo, non ne conosciamo il valore e l’importanza, sono capolavori visibili, ma è come se fossero latenti, nessuno si curerà di loro fin quando non vi sarà qualcuno che li segnalerà e li farà conoscere per la loro importanza, dopo averli tratti dall’oblio della memoria e del tempo, dall’incuria o dall’indifferenza.

Iscriviti alla Newsletter