di Gerardo Pecci
Uno dei più importanti principi costituzionali, quello legato all’articolo 9 della nostra Costituzione repubblicana, afferma perentoriamente, in maniera chiara e senza alcun dubbio interpretativo, che è la Repubblica, cioè lo Stato in prima persona, attraverso le Soprintendenze, che deve esercitare la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione. La tutela per principio costituzionale, per precetto prescrittivo di ordine giuridico, non può e non deve essere demandata, delegata, a qualsivoglia ente pubblico, o privato, come ad esempio le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità Montane e via dicendo. Cosa che invece è possibile fare per la valorizzazione del patrimonio culturale, in regime di reciproca collaborazione tra Stato, enti pubblici e soggetti privati. Ma la tutela no. Infatti, la tutela, attraverso diverse attività, è diretta a riconoscere, proteggere e conservare ogni bene del nostro patrimonio culturale affinché possa essere offerto alla conoscenza e al godimento dell’intera collettività. Si esplica pertanto attraverso tre importanti azioni: il riconoscimento di un bene attraverso il procedimento scientifico e amministrativo di verifica o dichiarazione dell’interesse culturale, a seconda della sua natura proprietaria, pubblica o privata; la sua protezione e tutte le misure atte a conservarlo nelle condizioni migliori, per farlo continuare a vivere nel tempo.
Con l’autonomia regionale differenziata, il cui iter parlamentare è stato accelerato con l’approvazione del DDL Calderoli, da parte dell’attuale Governo, vi è un serio pericolo proprio in ordine al principio costituzionale della tutela del patrimonio culturale e paesaggistico che invece è materia statale e non regionale. Infatti, secondo quando frulla per la testa del ministro leghista – ben sappiamo che la Lega, e non solo essa, ha sempre simpatizzato e parteggiato per le autonomie e la devoluzione dei poteri dello Stato a regioni, province e comuni, anzi in alcuni momenti del passato tutti l’abbiamo storicamente percepita come un vero e proprio partito “anti-Stato” – la gestione in via esclusiva dei beni culturali, paesaggistici, ambientali, la gestione dei musei statali e delle Soprintendenze e finanche della Scuola pubblica statale è di fatto una richiesta che non può essere assolutamente giustificata e accettata proprio perché si tratta di pretese totalmente prive di ogni giustificazione di natura giuridica, storica, morale, etica, politica, sociale e culturale. Infatti, le nostre Regioni, come mette in luce un documento del Consiglio Regionale di “Italia Nostra” del Veneto, già dispongono «di una vasta serie di competenze per il governo del territorio e per la tutela dei beni culturali, ambientali e paesaggistici, in particolare la pianificazione urbanistica e paesaggistica in co-pianificazione con lo Stato. Le regioni inoltre attraverso i PTRC hanno la facoltà di individuare e istituire parchi, riserve, piani d’area, siti rete-natura 2000, ambiti di tutela archeologica, ecc. e di classificare e tutelare specifiche categorie di beni (per esempio l’edilizia rurale o l’architettura del Novecento)». Le regioni attualmente posseggono già gli strumenti per collaborare con lo Stato alla tutela del proprio patrimonio culturale, ambientalistico e paesaggistico È fin troppo chiaro, dunque, che l’Autonomia regionale, così come pensata dalla maggioranza di questo Governo, non vuole rafforzare la tutela, ma puntare a distruggerla, snaturando incostituzionalmente il dettato dell’Art. 9 della nostra Costituzione repubblicana. Va infatti ricordato, con la forza e l’incisività della memoria storica, che le Soprintendenze, operanti in Italia fin dal 1907, sono organi direttivi del Ministero della Cultura e hanno poteri di controllo e di vigilanza sul territorio. Il passaggio alle Regioni del patrimonio culturale monumentale, museale, archeologico e storico-artistico e degli uffici di Soprintendenza significherebbe di fatto un attacco inaccettabile alla esclusività giuridica della legislazione di tutela scaturita dall’Art. 9 della Costituzione e costituirebbe un pericolo grandissimo per tutta la normativa vincolistica e un’inaccettabile revisione dei vincoli esistenti, con il pericolo serio della loro stessa cancellazione. Con il DDL Calderoli le conseguenze sarebbero devastanti. Infatti, l’idea del passaggio alle Regioni del personale delle Soprintendenze con le relative risorse economiche è da respingere integralmente. Per completezza di pensiero, altrettanto si dica, in parallelo, per quanto riguarda le scuole statali che di fatto verrebbero regionalizzate, così come auspica il ministro Valditara, anch’egli leghista.
Altro pericolo è quello legato alle redazioni dei piani paesaggistici regionali che sarebbero redatti in totale autonomia rispetto allo Stato, disconoscendo di fatto «il ruolo e la funzione di controllo e pianificazione del Ministero della cultura e dunque dello Stato?». Che dire, poi, in merito all’autorizzazione paesaggistica? Con l’Autonomia verrebbe rilasciata dalle Regioni e senza il prescritto “parere della Soprintendenza”. Il documento del Consiglio Regionale di “Italia Nostra” del Veneto, afferma inoltre che le Soprintendenze se regionalizzate «non serviranno più a nulla e saranno completamente smantellate, e ben poco di quanto faticosamente si è sin qui salvato (grazie a pluridecennali azioni e politiche di protezione fatte anche da Italia Nostra) sarebbe più al sicuro».
L’idea dello smantellamento delle Soprintendenze perché “contrarie al progresso” non è nuova. Già Matteo Renzi si era pronunciato contro. Purtroppo, in Parlamento esiste una sciaguratissima rete trasversale di “politici”, sia di maggioranza che di opposizione, che vorrebbe depotenziare le Soprintendenze e/o addirittura cancellarle. Vale a dire mandare a gambe all’aria la nostra possibilità di continuare a vivere da cittadini consapevoli la nostra storia e gioire e capire la realtà in cui viviamo proteggendo il passato di cui noi stessi siamo fatti, continuandolo a farlo vivere per il futuro. Non siamo i padroni del nostro patrimonio culturale e paesaggistico, chi farà disastri dovrà risponderne di fronte al mondo e alla storia. E se ci sono materie che non possono e non devono essere assolutamente trasferite alle Regioni sono proprio la tutela del paesaggio e dei beni culturali e la scuola statale, che deve trasmettere ai giovani il senso della comune responsabilità civica e il futuro del mondo.