WhatsApp
Facebook

I Nostri Sponsor

Da Accattone a Salò o le 120 giornate di Sodoma, il regista e i suoi capolavori:

Un cavaliere, un cane, un inseguimento e l’acqua di uno stagno. Sono i primi ricordi che Pier Paolo Pasolini ha del cinema: un film visto all’età di cinque anni con mamma e papà, una domenica sera. Poi la sala Ruffo di Sacile negli anni ’30, il “primo” incontro con Anna Magnani, futura Mamma Roma, ne La Cieca di Sorrento, e la minuscola arena estiva di San Giovanni, frazione di Casarsa, che proiettava le grandi commedie hollywoodiane. E ancora i film di Chaplin, di Renoir degli anni degli studi a Bologna. “Fu allora che nacque il mio grande amore per il cinema”, disse.

Un amore a cui si avvicina a piccoli passi, vittima di “un’ossessione espressiva”. A Roma, negli anni ’50, quando era già un intellettuale affermato, collabora, con Giorgio Bassani, alla sua prima sceneggiatura cinematografica, La donna del fiume, di Mario Soldati. Osserva, fa sopralluoghi a Ferrara e nelle Valli del Comacchio.

Il passaggio alla regia è graduale e mosso, oltre che dal desiderio di vedere una “maggiore corrispondenza” tra la sua scrittura e il film realizzato, dal “bisogno di cambiare tecnica” e dalla convinzione sempre più radicata che il cinema non sia esso stesso che una “variante tecnica della letteratura”. Ma soprattutto Pasolini è spinto da un moto interiore verso la rappresentazione della realtà.

Quando gira Accattone è già il poeta di Le ceneri di Gramsci, lo scrittore di Ragazzi di vita e Una vita violenta, ma di cinema non sa niente.

“Non sapevo che esistessero, per esempio, vari tipi di obiettivo, e restavo di stucco quando l’operatore mi chiedeva che obiettivo desiderassi. Addirittura – questo è enorme – non sapevo con precisione che cosa significasse panoramica: la confondevo col campo lungo… Ero, insomma, un principiante”. Un principiante, che non si era arreso ai consigli di Fellini che gli suggeriva di tornare sui suoi passi, e che decide di stravolgere le regole della regia a partire dalla scelta degli attori e dei luoghi in cui girare, della musica da usare.

Nascono così i capolavori consegnati alla storia del cinema. Da “Accattone” e “Mamma Roma” , affreschi della Roma degli ultimi, dei reietti, di miserabili e delinquenti a “Il Vangelo secondo Matteo”, considerato dall’Osservatore Romano “forse la migliore opera su Gesù nella storia del cinema”. Da “Uccellacci e uccellini”, con Totò e Ninetto Davoli alla “Trilogia della vita”, provocatoriamente rinnegata nel suo “ultimo” film Salò o le 120 giornate di Sodoma uscito postumo nel 1976.

Ed è attraverso il cinema che Pasolini scopre che “cosa significa il cinema” per lui. Non un’ossessione, non una tecnica, ma “rappresentare la realtà non attraverso dei simboli come accade con le parole, ma attraverso la realtà stessa” per vivere sempre “al livello e nel cuore della realtà”.

Accattone (1961)

“In Accattone ho voluto rappresentare la degradazione e l’umile condizione umana di un personaggio che vive nel fango e nella polvere delle borgate di Roma. Io sentivo, sapevo, che dentro questa degradazione c’era qualcosa di sacro, qualcosa di religioso in senso vago e generale della parola, e allora questo aggettivo, ‘sacro’, l’ho aggiunto con la musica. Ho detto, cioè, che la degradazione di Accattone è, sì, una degradazione, ma una degradazione in qualche modo sacra, e Bach mi è servito a far capire ai vasti pubblici queste mie intenzioni”. P.P.Pasolini

Il primo film di Pasolini regista fu proiettato fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia il 31 agosto 1961, anche se ancora privo – per questioni di presunta oscenità – del visto censura per le sale. Ottenne due mesi più tardi un visto ministeriale di divieto ai minori di anni diciotto. Alla “prima” del film al cinema Barberini a Roma, un gruppo di giovani neofascisti cercò di impedire la proiezione, lanciando bottiglie d’inchiostro e ortaggi contro lo schermo e la proiezione fu sospesa per quasi un’ora.

Nel 1962 venne presentato al Festival Internazionale del cinema di Karlovy Vary (Cecoslovacchia) e vinse il Primo premio per la regia.

Inizialmente doveva essere prodotto dalla Federiz, una società di produzione affidata da Angelo Rizzoli a Federico Fellini, ma questi non volle saperne e consigliò a Pasolini di “lasciar perdere il cinema”.

Nel suo film d’esordio Pasolini porta sul grande schermo la sua visione delle periferie raccontata in Ragazzi di vita e Una vita violenta. Quasi tutti gli attori sono non professionisti a partire dal protagonista, Franco Citti. “Lui e Accattone sono la stessa persona”, scrisse Pasolini.

Mamma Roma (1962)

“Mamma Roma ha esplicitamente, in maniera sia pure rozza, primitiva, come può far lei, una certa problematica morale che le si sviluppa per gradi. In principio, questa sua «angoscia mortale» che condivide con Accattone, questa sua allegria senza storia (ed è anche questo un’altra somiglianza con Accattone)… ma c’è già in lei qualcosa dell’altro mondo, cioè del nostro mondo borghese, in altre parole un ideale piccolo-borghese“. Pier Paolo Pasolini

Il film gode della stessa ambientazione “borgatara” di Accattone, ma la protagonista è una donna, Anna Magnani nei panni di una prostituta romana che vuole cambiare vita per dedicarsi al figlio Ettore. Parlando del film, la grande attrice reduce dall’Oscar disse: “Sono molto affezionata ai personaggi di Roma città aperta e La Rosa Tatuata, ma se non sbaglio credo che questo sia il personaggio più grosso che ho mai interpretato sinora”.

La Ricotta (1963)

Non è difficile predire a questo mio racconto una critica dettata dalla pura malafede. Coloro che si sentiranno colpiti infatti cercheranno di far credere che l’oggetto della mia polemica sono la storia e quei testi di cui essi ipocritamente si ritengono i difensori. Niente affatto: a scanso di equivoci di ogni genere, voglio dichiarare che la storia della Passione è la più grande che io conosca, e che i testi che la raccontano sono i più sublimi che siano mai stati scritti”. Pier Paolo Pasolini

Il quarto episodio del film RoGoPaG è scritto e diretto da Pier Paolo Pasolini. Gli altri episodi sono: Illibatezza di Rossellini, Il nuovo mondo di Godard, Il pollo ruspante di Gregoretti.

Ancora una volta il regista sceglie di raccontare gli umili e gli emarginati. Non a caso, tutte le comparse, i generici, i figuranti del “film nel film” la cui storia viene narrata (la Passione di Cristo) sono dei sottoproletari, ma compare – come anche in Mamma Roma – anche la borghesia.

La pellicola viene sequestrata il giorno stesso della sua uscita con l’imputazione di “vilipendio alla religione di Stato” e vengono apportati anche dei tagli. Nel maggio 1964 la Corte d’appello di Roma, accogliendo il ricorso di Pasolini, assolve il regista perché “il fatto non costituisce reato”.

Il Vangelo secondo Matteo (1964)

“L’ho trovato Cristo, l’ho rappresentato. Mi manca qualcosa, ma questa mancanza non mi dà dolore. Manca sempre qualcosa, c’è un vuoto in ogni mio intuire. Ed è volgare questo non essere completo, è volgare. Mai fu così volgare come questa ansia, questo non avere Cristo”. Pier Paolo Pasolini

Il Vangelo secondo Matteo è un film del 1964, diretto da Pier Paolo Pasolini e incentrato sulla vita di Gesù come è descritta nel Vangelo secondo Matteo. Attori non professionisti si alternano ai tanti amici del regista che parteciparono alle riprese tra i Sassi di Matera tra cui Natalia Ginzburg, Alfonso Gatto ed Enzo Siciliano. Nel cast anche Ninetto Davoli, al suo debutto e la madre di Pasolini, Susanna, che interpreta la Madonna anziana. La figura di Cristo fu affidata al catalano Enrique Irazoqui un sindacalista diciannovenne, in Italia per cercare appoggi alla lotta contro il regime franchista.

Uccellacci e uccellini (1966)

“Non ho mai «messo al mondo» un film così disarmato, vulnerabile, fragile e delicato come Uccellacci e uccellini. Non solo non assomiglia ai miei film precedenti, ma non assomiglia ad alcun altro film. Non parlo della sua originalità — sarebbe stupidamente presuntuoso — ma della sua formula che è quella della favola col suo senso nascosto”. Pier Paolo Pasolini

Un corvo guida padre e figlio in un surreale viaggio nella campagna romana e nella storia. Per la sua “favola” Pasolini mette insieme attori presi dalla strada e senza esperienza recitativa e mostri sacri della cinematografia come Totò, al suo ultimo film. I titoli di testa sono cantati da Domenico Modugno.

Edipo re (1967)

Il film è una proiezione in parte autobiografica. Ho girato il prologo in Lombardia, per evocare la mia infanzia in Friuli, dove mio padre è stato ufficiale, e l’epilogo, o piuttosto il ritorno di Edipo poeta, a Bologna, dove ho cominciato a scrivere poesie. Lì mi sono trovato integrato nella società borghese; allora credevo di essere un poeta di questo mondo, come se questo mondo fosse stato assoluto, unico, come se le divisioni di classe non fossero mai esistite. Credevo nell’assolutezza del mondo borghese. Con il disincanto, Edipo fugge dunque il mondo borghese e affonda sempre più nel mondo popolare, dei lavoratori. Egli canta non più per la borghesia ma per la classe degli sfruttati. Da qui questo lungo itinerario verso le fabbriche. Dove l’attende un altro disincanto, probabilmente… “. Pier Paolo Pasolini

Teorema (1968)

“Avevo già cominciato a elaborarla come tragedia, come dramma in versi; poi ho sentito che l’amore tra questo visitatore divino e questi personaggi borghesi era molto più bello se silenzioso. Questa idea mi ha fatto pensare che allora forse era meglio farne un film, ma mi sembrava che come film fosse irrealizzabile e, in un primo momento, ho buttato giù un racconto che è rimasto molto schematico e, nella prima stesura, molto rozzo; poi l’ho elaborato come sceneggiatura e contemporaneamente ho anche modificato questo primo canovaccio di appunti che è diventato un’opera letteraria abbastanza autonoma”. Pier Paolo Pasolini

Alla versione cinematografica di Teorema seguì quella in forma di romanzo scritta durante la lavorazione del film. Provocatorio e profetico, il film narra la vita di una famiglia borghese che viene sconvolta dall’arrivo di un misterioso ospite senza nome.

Il 13 settembre del 1968 la Procura della Repubblica di Roma dispose la messa al bando di Teorema per oscenità, ma il Tribunale di Venezia discolpò il grande intellettuale “perché il fatto non costituisce reato” dal momento che “lo sconvolgimento che Teorema provoca non è affatto di tipo sessuale, è essenzialmente ideologico e mistico. Trattandosi incontestabilmente di un’opera d’arte, Teorema non può essere sospettato di oscenità”.

Porcile (1969)

“Il contenuto politico implicito del film è una disperata sfiducia in tutte le società storiche. Dunque anarchia apocalittica. Essendo così atroce e terribile il «senso» del film, non potevo che trattarlo: a) con distacco, quasi contemplativo; b) con umorismo”. Pier Paolo Pasolini

In questa crudele favola allegorica Pasolini racconta due storie parallele quella di un giovane che, dopo aver ucciso il padre, vive sull’Etna e diventa cannibale e quella contemporanea dell’erede di un impero industriale che, stanco di una società cannibale, alla compagnia delle donne preferisce quella dei maiali. Si tratta di un film “povero”, dice il regista, “girato in un mese con una cifra irrisoria”, ma da lui molto amato per i rapporti umani innescati durante la lavorazione con un Ninetto Davoli qui “attore per forza” tanto da considerarlo “il più riuscito dei miei film, almeno esteriormente”.

Medea (1969)

Non soltanto io non vedo differenza tra l’Edipo e Medea, ma non vedo differenza nemmeno tra Accattone e Medea, e nemmeno molta differenza tra II Vangelo e Medea. Praticamente un autore fa sempre lo stesso film, per almeno un lungo periodo della sua vita, come uno scrittore scrive sempre la stessa poesia. Si tratta di varianti, anche profonde, di uno stesso tema. Il tema: come sempre, nei miei film, è una specie di rapporto ideale, e sempre irrisolto, tra mondo povero e plebeo, diciamo sottoproletario, e mondo colto, borghese, storico. Questa volta ho affrontato direttamente, esplicitamente questo tema. Medea è l’eroina di un mondo sottoproletario, arcaico, religioso. Giasone invece è l’eroe di un mondo razionale, laico, moderno. E il loro amore rappresenta il conflitto tra questi due mondi“. Pier Paolo Pasolini

Dopo Edipo Re, Pasolini torna alla tragedia greca con Medea. Protagonista una straordinaria Maria Callas, la diva scelta perché “appartiene a un mondo contadino – dichiara il poeta di Casarsa -, greco, agrario, e poi si è educata per una civiltà borghese. Dunque, in un certo senso, ho cercato di concentrare nel suo personaggio la complessa totalità di Medea”. Nel ruolo di Giasone, Giuseppe Gentile, alieno al mondo del cinema. Era l’atleta di salto triplo medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Città del Messico del 1968, dove per due volte, aveva battuto il record mondiale.

Il Decameron (1971)

Non ho preteso nel Decameron di esprimere la realtà con la realtà, gli uomini con gli uomini, le cose con le cose, per farne un’opera d’arte, ma semplicemente per «giocare», appunto, con la realtà che scherza con se stessa. Malgrado la violenza non effabile della realtà che passa a palate sullo schermo, il Decameron si presenta, credo per la prima volta nella mia carriera, come un film recitato“. Pier Paolo Pasolini

Decameron è il primo episodio della “Trilogia della vita”, proseguita con I racconti di Canterbury (1972) e completata da Il fiore delle Mille e una notte (1974). Il film ebbe diversi problemi con la censura. In Germania e in gran parte dell’Europa ebbe invece un grande successo e vinse l’Orso d’argento al Festival del Cinema di Berlino.

Presenta nove novelle dal Decameron di Boccaccio ambientate però a Napoli. “Ho scelto Napoli”, dice Pasolini, “perché è una sacca storica: i napoletani hanno deciso di restare quello che erano e, così, di lasciarsi morire”.

Il commento musicale del film, che si richiama a melodie della tradizione napoletana, è stato elaborato dallo stesso Pasolini con la collaborazione di Ennio Morricone. Anche qui gli attori sono in gran parte non professionisti. Ci sono Ninetto Davoli (Andreuccio) e Franco Citti (Ciappelletto).

I racconti di Canterbury (1972)

Il mondo di Chaucer e di Boccaccio non aveva sperimentato l’industrializzazione. Non c’era la società del consumi, non c’erano le catene di montaggio. La società di allora non aveva nulla in comune con questa di adesso”. Pier Paolo Pasolini

Episodio centrale della Trilogia della vita, il film è tratto dall’omonima opera di Chaucer (interpretato da Pasolini stesso). Come il capitolo precedente subì censura, ma vinse l’Orso d’Oro come miglior film al Festival di Berlino del 1972

Otto racconti, scelti tra le novelle più cupe dell’opera chauceriana, sono rielaborati in chiave comica o grottesca in una strenua ricerca pasoliniana del passato. I temi sono, come in Decameron, sesso, amore, morte. Non manca la violenza esercitata dalla ricchezza e dell’immoralità del potere, messa in particolare risalto dal trucco molto pesante, carico, volgare degli attori.

Il fiore delle Mille e una notte (1974)

“Il fiore delle Mille e una notte è l’ultimo film della Trilogia della vita, ed è anche l’ultimo film di Pier Paolo in cui ci sono allegria, voglia di vivere e uno sguardo gioioso di aspettativa. Con il successivo Salò o le 120 giornate di Sodoma, sono intervenute la cupezza, la morte, l’orrore e la perdita di fiducia nel mondo e negli uomini“. Dacia Maraini

Terzo e conclusivo capitolo della cosiddetta “Trilogia della vita”, ha vinto il Grand Prix Speciale della Giuria al 27º Festival di Cannes.

Come in Decameron e nei Racconti di Canterbury, il tema che percorre il film, la cui sceneggiatura è firmata anche da Dacia Maraini, è la gioia di vivere e il sesso come una manifestazione d’amore, libera, aperta, in contrapposizione a disperazione e morte, inganno e gelosia. I racconti sono ispirati al libro Le mille e una notte, scritto da autori sconosciuti di racconti persiani. Tra gli interpreti, Ninetto Davoli, Franco Citti e molti attori non professionisti arabi doppiati tutti con accenti del Sud.

Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975)

Faccio un film perverso per protesta contro la perversione che è ormai dappertutto“. Pier Paolo Pasolini

Quello che doveva essere il primo capitolo di una trilogia di opere considerata come la Trilogia della morte in antitesi alla Trilogia della vita è l’ultimo film di Pier Paolo Pasolini. Viene presentato postumo in anteprima al Festival cinematografico di Parigi il 22 novembre 1975, tre settimane dopo l’assassinio del regista.

Arrivò nelle sale italiane il 10 gennaio 1976 e scatenò proteste e lunghe persecuzioni giudiziarie: vennero aperti 31 processi. Il produttore Alberto Grimaldi subì processi per oscenità e corruzione di minori e nel 1976 fu decretato il sequestro della pellicola, che sparì dagli schermi prima di essere rimessa in circolazione nel 1977 salvo poi essere sequestrata nuovamente. Non tornò nelle sale sino al 1985.

Ispirato dal libro Le 120 giornate di Sodoma di de Sade, trasportato al tempo della Repubblica di Salò, il film è strutturato in 4 parti i cui titoli si rifanno all’Inferno di Dante. Rispetto alla trilogia della vita, il sesso è indagato come rapporto sadomasochistico tra vittime e carnefici, entrambi colpevoli.

Iscriviti alla Newsletter

Articoli che ti piaceranno

Se ti è piaciuto quest’articolo, amerai questi che ti proponiamo qui