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Il manifesto cinematografico non nacque come forma d’arte, ma lo divenne presto. Una forma d’arte a sé che, fin dagli albori, doveva anticipare le emozioni del cinema.

I manifesti cinematografici nacquero in Francia alla fine dell’Ottocento, contemporaneamente alla nascita del cinema stesso. Il primo manifesto è stato quello del 1895 per pubblicizzare l’invenzione del cinema dei Fratelli Lumière da parte di Jules Chéret e Marcellin Auzolle: usarono lo stile tipico dell’Art Noveau, con colori vivaci e personaggi illustrati raffigurati nei minimi dettagli. Al tempo vi erano, infatti, i cosiddetti pittori del cinema, che avevano proprio il compito di rappresentare con una illustrazione la pellicola stessa, così da attirare l’attenzione delle persone. Questo perché, l’immagine, alle volte, è ciò che rimane di più impresso nella memoria. L’espressività utilizzata nella raffigurazione era alla pari di un dipinto e, l’emozione provata nel guardarlo, sarebbe stata la molla per acquistare il biglietto ed usufruire del prodotto.

Fu però con l’ascesa di Hollywood, la grande industria cinematografica statunitense, che le locandine acquisirono una fisionomia più dettagliata. Tutto era studiato nei minimi particolari: dalla scelta dei colori all’individuazione dell’elemento dominante per stimolare la curiosità del pubblico. Erano la ricercatezza e la cura che ne accompagnavano la creazione. Vero maestro di questa nuova arte fu Bill Gold (1921-2018), graphic designer americano, noto per aver realizzato alcune delle locandine più note di sempre: Casablanca, Mystic River e L’Esorcista.

In Italia, la cui tradizione viene portata avanti dagli artisti dell’epoca, uno storico esempio di pregio è la suggestiva locandina realizzata da Leopoldo Metlicovitz per il grande colossal italiano Cabiria (1914), il film di Giovanni Pastrone con soggetto e didascalie di Gabriele D’Annunzio. Il disegno rappresenta una giovane donna nuda, l’eroina protagonista della storia, sostenuta da due mani enormi e lambita dalle fiamme che si levano rosse come il sangue del sacrificio cui è destinata.

Negli anni Venti il cinema sovietico raggiunse fama mondiale grazie a La corazzata Potemkin (1925) di Ejzenstejn. Il manifesto venne realizzato dal pittore e fotografo russo Rodčenko: mostra in primo piano due cannoni puntati verso lo spettatore e una data, il 1905, anno dell’ammutinamento dei marinai della corazzata avvenuto nel porto di Odessa (Ucraina).

Nell’America degli anni Cinquanta, le locandine dei film di Alfred Hitchcock riuscirono a riassumere il significato delle pellicole attraverso un linguaggio simbolico, fatto di colori primari e forme geometriche decise. È il caso del lavoro di Saul Bass per Vertigo (La donna che visse due volte), Intrigo internazionale e Psyco.

Infine, l’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta vide l’affermarsi del movimento neorealista: registi come Luchino Visconti, Vittorio De Sica e Roberto Rossellini si ispiravano a storie contemporanee per rappresentare la vita della gente comune nell’Italia del secondo dopoguerra. Anselmo Ballester e Ercole Brini firmarono alcuni dei manifesti più famosi dell’epoca, tra cui la celebre locandina di Ladri di biciclette (Vittorio De Sica, 1948).

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