Parte 2
Veniamo a noi. Ci siamo lasciati con una introduzione all’evento “I Bianchi da invecchiamento” organizzato dalla delegazione campana dell’Associazione Nazionale Le Donne del Vino, ora entriamo nel cuore pulsante degli assaggi dei vini in degustazione.
Vigna Astroni Campi Flegrei Falanghina Doc 2017, Cantine Astroni, Falanghina 100%
Nell’areale flegreo alle pendici del vulcano Astroni nasce, intorno al 2015, dopo vari anni di sperimentazione da parte dell’azienda, l’etichetta Vigna Astroni. La falanghina, dice Cristina “è stata un po’ come la cenerentola della Campania” e sta vivendo, solo negli ultimi anni una seconda vita, valorizzata in diversi modi dall’azienda ad esempio spumantizzata e anche invecchiata. Un vino che è “un sorso di cratere” continua Cristina, raccontandoci che già l’etichetta ci suggerisce la filosofia dell’azienda in merito a questo vino: una mano che sorregge un cratere.
Vinificato nella prima decade di ottobre, le uve sono raccolte a mano e portate in cantina in piccole cassette dove vengono diraspate, leggermente schiacciate e lasciate in presse pneumatiche per un paio d’ore, il che favorisce una prima macerazione tra bucce e succo. Solo il mosto fiore va in fermentazione con i soli lieviti indigeni e successivamente vengono inoculati lieviti indigeni selezionati (lieviti che sono stati isolati in vigna così come durante le fermentazioni spontanee, si legge sul sito dell’azienda). Affinamento sulle fecce fini per circa 8 mesi.
Annata 2017, decisamente calda, che si traduce al calice in un colore giallo paglierino particolarmente carico, naso minerale, di pietra focaia, note sulfuree, e poi un sorso, appunto, vulcanico. Le olive verdi la prima personale percezione gustativa, erbaceo, questo vino è minerale e con una bellissima acidità. Il vino è equilibrato ed elegante. L’abbinamento con la zuppetta di pesce di fondale con crumble di olive nere se l’è cavata, grazie all’acidità di una salsa al limone presente nel piatto ma non menzionata a menù.
Via del Campo Irpinia Falanghina Doc 2018, Quintodecimo, Falanghina 100%
Ci spostiamo in Irpinia, dove, dalla sola vigna di Mirabella Eclano, nelle sole zone in cui il terreno è più sabbioso, nasce questo vino dalle radici ben salde, legate al nome del prof. Moio, ed è proprio a lui che si fa riferimento per raccontare l’origine del nome- ci dice Chiara- legato a sua volta ad una forte passione per un’artista italiano che anche io amo: De Andrè. Il cantautore nel suo brano Via del Campo racconta di una prostituta; in questo modo si è voluto sottolineare il maltrattamento che la falanghina ha subito negli anni creando così questo “parallelismo”, dice Chiara, tra la prostituta protagonista di De Andrè e quest’uva che sicuramente è invece una risorsa.
Vendemmiata tra la fine di settembre e la prima decade di ottobre, l’uva viene raccolta manualmente, e portata in cantina in piccole cassette da 15 kg. I grappoli interi vengono pressati e il mosto di sgrondo, protetto dall’ossigeno, viene separato da quello di pressa e illimpidito per sedimentazione naturale (la decantazione avviene in un serbatoio a 12°C per 24/48 ore in modo naturale per via del freddo). Il mosto chiaro va così in fermentazione che avviene per il 70% in tini di acciaio inox e per il 30% in barrique di rovere francese nuove. Dopo la fermentazione, di circa 25/30 giorni, si uniscono le due frazioni di mosto fermentato, quella in acciaio e quella in legno, per poi rimanere diversi altri mesi in affinamento in acciaio sulle fecce fini regolarmente risospese nel vino.
Annata 2018 molto calda in Irpinia, con piogge abbondanti e un inverno molto freddo, con importanti escursioni termiche tra giorno e notte.
Alla vista si presenta con un colore giallo paglierino, luminoso. Sicuramente un naso molto diverso dalla falanghina di Astroni, si percepiscono molto più spiccatamente i sentori floreali e la frutta, poi arriva anche la mineralità, che invece era molto evidente nel precedente assaggio. Al palato è morbido e avvolgente, caratteri probabilmente attribuibili all’utilizzo della botte.
L’abbinamento con il sushi rolls non è affatto riuscito (volutamente non fotografato, sbagliando). Dipende sicuramente dagli ingredienti del sushi, tutti diversi, quindi non è stato possibile fare un confronto pari tra tutti gli ospiti, ma sicuramente se fosse capitato un sushi molto speziato, come il mio, avrebbe decisamente sovrastato il vino, prevalendo in modo del tutto inappropriato.
Brancato Fiano di Avellino Docg Riserva 2018, Tenuta Cavalier Pepe, Fiano di Avellino 100%
Rimaniamo in Irpinia, a Luogosano, tra Lapio e Taurasi, con il vino di Milena Pepe che lo definisce “molto personale”.
Con la consapevolezza che il vino bianco campano ha la capacità di affinare, ci racconta Milena, questo vino è stato l’espressione di una sua personale volontà, ovvero avere un vino per il quale utilizzare in parte la barrique e che potesse quindi uscire al calice con un carattere strutturale più robusto, più cremoso, più persistente, più completo, con un bouquet che spaziasse dalla frutta, ai fiori, al minerale, allo speziato.
Le uve selezionate vengono raccolte a mano, portate in cantina e pressate intere. Il solo mosto fiore viene prima decantato a freddo e poi inoculato (con quali lieviti?) per la fermentazione alcolica. La fermentazione avviene per una parte in barriques di rovere francese e per la restante parte in acciaio a bassa temperatura. Il vino rimane in affinamento sur-lie sempre in legno ed acciaio ed infine affina almeno 6 mesi in bottiglia.
Sicuramente il colore giallo paglierino pulito, per un fiano Riserva, ci suggerisce un carattere ancora giovane, come la stessa Milena lo ha definito “è un bambino”, aspetto, quest’ultimo, che rimane coerente con gli altri stimoli percettivi di naso e bocca: sentori floreali, leggera alcolicità, note ancora molto timide di frutta e di caratteri minerali, tutto ciò credo abbia decisamente la possibilità di esprimersi al meglio tra qualche altro anno di affinamento in bottiglia.
L’abbinamento con il riso al salto con funghi e fonduta di formaggio non è riuscito, il fungo ha sovrastato il vino. Forse tra qualche anno potrebbe capitare il contrario o potrebbero equilibrarsi le percezioni gusto-olfattive.
CampoRe fiano di Avellino Docg 2012, TERREDORA, Fiano di Avellino 100 %
Sempre Irpinia, questa volta Lapio, città del fiano, ma anche di meravigliose produzioni in rosso. Una “tenuta del cuore”, come racconta la spumeggiante Daniela, che in seguito alla divisione tra i vari esponenti della famiglia Mastroberardino, è stata trasformata e ribattezzata con il nome della località che la ospita, Campore, che divisa in due parole “campo” e “re”, a giudizio di Daniela, può avere giusta attribuzione alla produzione enoica in questione in quanto questo vino ha certamente la grinta di un Re.
CampoRe è un vino prodotto solo da uve provenienti da alcune delle particelle della tenuta, che non sono sempre le stesse, sono però sicuramente le più vecchie; è un vino da vendemmia tardiva effettuata mediamente verso fine ottobre, ma l’annata 2012 ha avuto un inverno particolarmente freddo con quasi 20 giorni di neve, la vendemmia questa volta è stata effettuata a metà settembre, che come dice Daniela “in Irpinia è quasi una bestemmia, ma è stata un’eccezionalità climatica”.
La vinificazione con fermentazione avviene in barrique e l’affinamento sur lie dura minimo 6 mesi, dopodiché il vino viene fatto affinare in bottiglia per almeno 24 mesi.
Bellissimo giallo oro al calice, si esprime con un naso dal bouquet ampio, strepitoso, si sente il miele di castagno (si percepisce questa nota mielata ma con una punta amarognola nel finale) estremamente piacevole; si sente la frutta matura e a tratti anche passita, gli agrumi in marmellata, l’erba macerata, insomma un naso in cui si riconosce, inconfondibile, il graffio di Lapio, ma più evoluto. In bocca è delicatamente morbido, con una bellissima acidità, conserva la complessità ed alla fine risulta un vino fine, elegante con una forte struttura. Una bellissima evoluzione di fiano.
L’abbinamento con la coscetta di pollo ripiena di burrata e lime, balsamico di peperoni e cestino di patate non mi convince, ma credo, a causa dell’esecuzione del piatto. Sicuramente la nota balsamica e la dolcezza del peperone sarebbero stati abbinati davvero bene a questo vino se solo fossero stati eseguite meglio le preparazioni in cucina.
Finisco con alcune brevi riflessioni.
Una bellissima nota di merito va alla voglia e alla volontà di portare alla ribalta un vitigno, la falanghina, che fino a pochi anni fa era considerato secondario, quasi bistrattato, valorizzandolo invece con progetti mirati e in grado di far riscoprire l’anima vera di quest’uva nostrana. Due falanghine completamente diverse, diversità dettata sicuramente dai processi di cantina differenti, ma soprattutto dal territorio, diverso sotto gli aspetti stratigrafici del terreno che generano questi caratteri confrontabili si, avendo la materia prima di base comune, ma sicuramente sfumati in modo diverso.
È stato davvero interessante avere la possibilità di degustare due vini diversi per tipologia d’uva e di territorio, la falanghina e il fiano, confrontandoli tra loro; vini rappresentativi della Campania e delle donne, in quanto riescono, davvero bene a conservare grinta e forza durante la propria vita che, a quanto abbiamo potuto notare, sa essere anche molto longeva.
Vero è che l’evento si concentrava sui vini, ma essendoci degli abbinamenti culinari, non posso esimermi da fare una piccolissima riflessione su questi ultimi.
A prescindere dal fatto che non sono una estremista nelle opinioni, quindi tutto è relativo, infatti trovo bellissime anche le degustazioni che non prevedono un abbinamento culinario (anzi a volte sono anche più efficaci), nel caso ci sia una pietanza abbinata d un vino invece, credo che l’abbinamento debba essere fatto bene, altrimenti si rischia di perdere un po’ di vista l’espressione sensoriale del vino che si sta raccontando; a meno che, ovviamente, non si tratti di un evento puramente formativo, dove quindi vale sicuramente anche l’errore di abbinamento enogastronomico ai fini didattici. In questo caso non sono stata molto entusiasta degli abbinamenti, ma forse più che per le idee culinarie in sé, per il semplice motivo che, a quanto pare, sembra essere diventato più difficile trovare chi cucini bene, rispetto a chi faccia bene il vino.
Sarebbe stato bello poter degustare delle annate più indietro nel tempo, come con CampoRe 2012, anche delle altre produzioni che per ovvi motivi tecnici legati alla giovane età dei progetti presentati, non hanno potuto presentare questa volta, ma aspetto molto volentieri di poter riprovare questi vini, queste annate, tra qualche anno, sono certa si avranno delle bellissime sorprese.
Immagine di copertina:
I vini in degustazione
Foto di Brigida Mannara