Tutti sono a conoscenza dell’elevato numero di calciatori naturalizzati nel mondo del calcio, in particolare se parliamo di Francia e Germania. I francesi sono stati da sempre grandi importatori di calciatori dal doppio passaporto, soprattutto negli anni d’oro 1998 e 2000 che hanno portato alle vittorie di Mondiale ed Europeo sotto i colpi di Zinedine Zidane, nato sotto il tricolore francese ma con radici algerine. Per avvicinarci a tempi più recenti, basta focalizzarsi sull’undici titolare che è salito sul tetto del mondo nel 2018, in particolare Varane, Mbappè e Kantè per citarne alcuni, tutti di origine africana originari di Tunisia, Camerun e Mali. In pochi hanno avuto il coraggio di compiere il percorso inverso. Koulibaly, ad esempio, ha doppio passaporto, ma nonostante il suo livello elevato e l’opportunità di vestire la maglia della Francia ha comunque deciso di essere una colonna portante del suo Senegal. Discorso simile per la Germania, con all’epoca Khedira, Gundogan e Ozil che rappresentavo grandi rimpianti per Tunisia e soprattutto Turchia.
Da tempo, oltre a queste due grandi potenze del calcio mondiale, c’è spazio anche per la piccola Svizzera. Sono pochi, anzi pochissimi gli “svizzeri svizzeri”, mentre sono la stragrande maggioranza i calciatori originari di altre nazioni, dall’Albania al Kosovo, dalla Turchia all’Italia, dall’Africa Nera al Sudamerica. Sono tutti o quasi nati e cresciuti in Svizzera da famiglie immigrate in territorio elvetico prima che nascessero (sono rari i casi di naturalizzazioni in età adulta), hanno giocato nelle nazionali giovanili e portano alta la bandiera rossocrociata. Ed è così da diverso tempo. Un salto rapido nel recente passato: l’italiano Benaglio, nato a Zurigo da genitori italianissimi di San Fedele Intelvi in provincia di Como, i difensori Djourou, nato in Costa d’Avorio, Klose, di origine tedesca, Rodriguez, di origini ispano/cilene, Senderos, di padre spagnolo e madre serba. I centrocampisti Barnetta, italianissimo, i kosovari Behrami, Shaqiri e Xhaka, gli albanesi Basha e Kasami, il serbo/albanese/georgiano Džemaili, il turco Inler e il capoverdiano Fernandes.
Quest’oggi, con Vladmir Petkovic in panchina, le cose non sono assolutamente cambiate. La classica Svizzera dalle mille radici, che dai Balcani viaggia nel continente africano (Mvogo, Mbabu, Akanji, Fernandes, Lotomba, Sow, Embolo) toccano i Caraibi (Vargas, che da parte materna ha pure origini italiane) e, passando per la Spagna (Benito), ritornano nei Quattro Cantoni. Embolo, uno dei giocatori di maggior qualità, tempo fa rifiutò il Camerun per ragioni politiche.
C’è un piccolo aneddoto da ricordare risalente ad Euro 2016. L’Europeo vide la Svizzera incrociare l’Albania e fu quasi un derby, visti visti i legami tra i due paesi, iniziati negli anni Sessanta con un accordo stretto tra Berna e Belgrado per la gestione dei flussi migratori dall’allora Jugoslavia. C’erano sei elementi della Svizzera di origini albanesi (Mehmedi, Dzemaili, Tarashaj, più i kosovari Behrami, Shaqiri e Xhaka) e altrettanti dell’Albania nati e cresciuti in terra elvetica (Abrashi, Ajeti, Basha, Gashi, Veseli, Xhaka). Quello di Granit (Svizzera) e Taulant (Albania) Xhaka fu il primo caso nella storia dell’Europeo di fratelli in campo da avversari.